Febbraio porta i test delle fiere, con qualche preoccupazione d’inizio anno. Con questa svolta che sembra solo di intravedere, ogni volta.
Una rassegna dove si respira l’entusiasmo senza esitazioni è RistorExpo. E per più di un motivo. Certo, si dirà, il tema fa tendenza oggi più che mai. Mamma tv lo sospinge amorevolmente, inoltre siamo reduci dalla sbornia dell’Esposizione universale. Ma lo show del piccolo schermo non sempre rende l’autentica anima del mangiare e del bere, e prima ancora ovviamente del cucinare. E anche riguardo i sei mesi cruciali di Milano che hanno cercato di convincerci a nutrire il pianeta, forse è ancora troppo presto per capire quanto e come ci abbiano segnato.
No, c’è qualcosa di più importante ed è racchiuso in una ricetta che Lariofiere sta cercando di perfezionare e offrire al territorio, di anno in anno.
È l’incontro tra i tempi, prima di tutto. Il passato, la sua saggezza contadina, la capacità di modellare il frutto della fatica nei campi e di offrirlo con gratitudine e rispetto. Le tradizioni, le definiamo, dando loro un tributo ufficiale per così dire: quante volte però sono finite in sordina, quasi accantonate per la fretta di spingersi in un futuro che in realtà non poteva, né voleva, farne a meno.
Quante ne ha smarrite il territorio di Como, ad esempio, dove alcuni prodotti o piatti si sono affievoliti. Meno la Valtellina, che ha saputo con più tenacia mantenere la bontà della sua terra e della sua storia, a partire dai vini ma non solo.
Oggi si avverte una scossa buona, la fierezza che si accentua dove non è andata perduta, che rinasce dove è stata scordata o dimenticata.
Sarà soltanto una moda? È un dovere lavorare perché non sia così. E iniziative come RistorExpo dimostrano come sia efficace insistere e seminare con la pazienza che richiede la stessa natura. È importante per la nostra economia, perché comunque l’Italia nell’immaginario collettivo è anche - e con forza - il cibo, o meglio ancora uno stile di vita che passa pure dalla tavola. Quindi è un motore che può portare lontano e soprattutto offrire lavoro e soddisfazioni alle nuove generazioni. Non a caso, una delle carte vincenti della vetrina erbese è il coinvolgimento dei giovani.
Quest’anno, poi, nel bussare al futuro si è osato ancora di più. Ci si è voluti affidare a un tema particolare e filosofico, come l’anarchia. Un inno alla libertà che vuol comunicare come ciascuno sia in grado di portare il proprio contributo per migliorare un piatto, un pasto, un territorio e - ci verrebbe da dire - il mondo.
Un anarchico, un uomo libero, era del resto il grande Luigi Veronelli, che pochi giorni fa avrebbe compiuto 90 anni. E proprio lui aveva messo in guardia sull’abbandono dell’agricoltura e sulla perdita della consapevolezza sulla stagionalità degli elementi.
E aveva un’immagine potente per il nostro Paese: «L’Italia si protende nel mare – dai ghiacciai alpini alle isole (Pantelleria e Lampedusa) – sino ad affrontare l’Africa. Ha il privilegio di terre, climi e storia e uomini d’ineguagliabili possibilità, colpevoli gli uomini di non averle ancora colte».
RistorExpo, nel suo piccolo, convince tanti operatori del settore e tanti giovani che quelle possibilità possono ancora essere sognate e conquistate. E per questo coraggio forse - in un periodo ancora grigio dove le fiere partono più con speranze che con tangibili segni confortanti per ora- a Erba ieri i colori dei cibi e del fuoco hanno dipinto un quadro, una storia diversi.
Il futuro - si è trasmesso - è per tutti. Ma non è di tutti, neanche quello della gastronomia: è di chi vuole osare perché ci crede, non perché ammicca la tv.
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