La confessione sulla Bibbia che incastra Olindo: è online l’ultima puntata di “Anime Nere”, il podcast sulla strage di Erba (ascolta qui)
Quinto episodio Le frasi scritte da Olindo Romano in carcere suonano come vere e proprie confessioni, almeno fino a che la strategia dei suoi avvocati difensori non cambia. L’ultimo oggetto per raccontare il caso di cronaca nera e tre esperti dell’informazione che se ne sono occupati da molto vicino
«Tutti sapevano, nessuno fece nulla per impedire la tragedia... Quando ci sentiamo minacciati diventiamo violenti e ci difendiamo e attacchiamo... Accogli nel tuo regno il piccolo Youssef, sua mamma Raffaella, sua nonna e Valeria a cui noi abbiamo tolto il dono della vita». Sono parole vergate a mano da Olindo Romano sulla Bibbia che trasformò in un diario scritto in carcere. Su quella Bibbia la narrazione di quanto accaduto l’11 dicembre 2006 a Erba è chiarissima e ogni frase suona come una confessione.
Almeno fino all’agosto successivo, quando, proprio con l’arrivo dei nuovi avvocati difensori, la strategia dei coniugi Romano cambia drasticamente insieme ai pensieri scritti da Olindo sulla sua Bibbia: «Gli avvocati vogliono rispondere anche loro con la carta stampata... troveranno penso un giornale che abbracci la nostra causa».
Oltre a raccontare di questo quinto oggetto che serve per spiegare in modo semplice perché la colpevolezza di Olindo e Rosa non possa essere in discussione, in questa ultima puntata di “Anime nere”, la serie audio dedicata alla strage di Erba e prodotta dai giornalisti Paolo Moretti e Martina Toppi, la parola passa agli esperti dell’informazione che hanno seguito da vicino il caso e abbiamo chiesto loro come si racconta una tragedia come questa facendo cronaca giudiziaria in maniera rigorosa, senza sfociare nella spettacolarizzazione.
Stefano Ferrari, collega a La Provincia, Paolo Colonnello, caporedattore de La Stampa ed ex presidente del consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti e Roberto Pacchetti, per 15 anni inviato di cronaca nera della Rai e oggi condirettore del Tgr. È proprio quest’ultimo a pronunciare le parole che più rendono il senso di questo podcast: «Come giornalisti abbiamo il dovere di scavare e indagare, ma anche di fermarci di fronte all’evidenza. Le famiglie delle vittime hanno sofferto troppo ed è arrivato il momento di dire basta, non ha più senso che questa storia venga rimessa in discussione. Anche loro meritano la pace».
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