Dopo un tira e molla infinito i nostri calciatori hanno proclamato lo sciopero. E a rimetterci siamo noi tifosi da mesi in attesa della prima di campionato. È opinione diffusa che la causa dello stop siano i calciatori, viziati e strapagati come li ha definiti, con demagogica puntualità, il ministro Calderoli. È passata l'idea che il mondo del pallone incroci i piedi perché non vuole pagare la super-tassa del Governo Berlusconi.
A me pare che la vicenda sia più complessa e che i presidenti abbiano più di una responsabilità. E del resto, anche in serie A, ci sono stipendi maxi e mini, squadre ricche e squadre che stanno in piedi per sbaglio.
Insomma, stiamo parlando di un contratto collettivo che deve rappresentare e tutelare tutti. Anche quelli che, alla soglia dei 90 mila euro annui, ci arrivano di poco o non ci arrivano proprio.
Michelino Raggi
(s.aff.) Caro Raggi,
questo stop è colpa di tutti, ed è la prova provata che il nostro calcio non se la passa bene. Le rispondo per punti, spero di essere esaustivo.
1) Lo sciopero è un diritto di tutti, però la sobrietà è un dovere, tanto più nella crisi economica che viviamo. I milionari possono incrociare i piedi, ma prima di farlo devono pensarci bene, e soprattutto avere ottimissimi motivi.
2) Il problema più controverso è quello dei cosiddetti “fuori rosa”. Occhio, il contratto collettivo della serie A è diverso dagli altri: cambiano cifre, contesto e meccanismi. Infatti la A si ferma e la B gioca. In particolare, solo in serie A esistono squadre di trenta giocatori: ai piani inferiori per regolamento l'organico è contingentato.
3) Significa che ci sono pochi posti per troppi calciatori, e con la riforma dei campionati saranno sempre meno. Nessun allenatore può gestire un gruppo così pletorico. Nessun presidente è obbligato dal medico a mettere sotto contratto tutta quella gente. Nel mezzo, quasi nessun giocatore (e nessun procuratore) baratterebbe uno stipendio più basso col posto da titolare.
4) Il contributo di solidarietà è sottotraccia per evitare sommosse popolari, ma è un nodo grosso così: la verità è che i ricchissimi calciatori non lo vogliono pagare. Guai dirlo a chi impegna lo stipendio per abbonarsi alla squadra del cuore.
5) Non è uno sciopero, perché lo sciopero presuppone la perdita di giornate di lavoro e della conseguente retribuzione. Invece le partite saranno recuperate e nessuno, né i giocatori né le società, perderà un cent. Ci rimettono solo i tifosi.
6) Per questi ultimi, in fondo, una domenica senza calcio, specie d'estate, non è una jattura. Magari ieri qualcuno, andando a spasso,ha incontrato l'anima gemella.
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