Non capisco cosa ci sia di eroico da pubblicizzare nelle gesta di un pluriomicida come Renato Vallanzasca da parte di un attore-regista anch'egli pugliese: Michele Placido. Vallanzasca non è solo un pluriomicida (quattro poliziotti, un medico, un impiegato di banca…) ma anche un soggetto violento e socialmente pericoloso, autore di continue risse e rivolte carcerarie, evasioni e sequestri di persona.Vale forse la pena ricordare come Vallanzasca punì in carcere un suo ex gregario poi pentitosi, Massimo Loi, colpendolo ripetutamente al petto con un coltello e dopo la morte, straziandone il corpo ormai esamine ed infine decapitandolo, per poi giocare a pallone con la sua testa? Quale etica, di grazia, quale morale ha da insegnare questo barbaro assassino? Quali le gesta di questa volgare carogna possono ispirare un film? Perché in questo paese ex terroristi vanno trionfalmente in libertà a presentare libri e saggi? Perché in questo paese nomi come Ruffilli o Biagi o d'Antona piuttosto di quelli degli agenti della scorta di Aldo Moro valgono meno di questi, tanto da essere quasi dimenticati? Perché i caduti sotto il fuoco criminale non sono degni di essere ricordati in un libro o in un film? Cosa c'è che non va negli agenti della polizia di Stato, nei carabinieri, nelle guardie particolari giurate che ogni giorno cadono uccisi? Cos'è mai questo strano amore per violenti e assassini piuttosto che per le persone oneste e leali? Se fossero almeno film di certa fattura come la saga de "Il Padrino" o del "C'era una volta l'America", laddove è pur rintracciabile una identificazione storica e una pur deviante morale! La saga poliposa de "La Piovra" non dimostra nemmeno tale superiore qualità cinematografica intrinseca.
Gustavo Gesualdo
Un film si critica, si contesta, perfino si disprezza. Ma perché impedire di girarlo, il film? E perché meravigliarsi se la storia criminale sollecita un regista a documentarla, interpretarla, rileggerla? E' successo tante volte, succederà ancora. Il film è un'opera dell'ingegno, lo si giudica in base alla sua qualità e a nient'altro. E prima di giudicarlo, bisogna vederlo. Bisogna vedere se il racconto è obiettivo, se descrive il personaggio negativo senza idealizzarlo (esaltarlo, eroicizzarlo), se illustra bene un tragico periodo storico o lo illustra male. Eccetera. Se tutto questo appartiene al film di Placido, e ci auguriamo che vi appartenga, rende omaggio alla verità. E quindi all'arte, che della verità si sforza d'essere indagatrice, se non portatrice. C'è qualcuno che debba sentirsi offeso dalla verità?
Max Lodi
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