Belli, e poeticamente utili, quei lumini che, nella notte tra l’1 e il 2 novembre, illuminano la strada ai nostri cari morti mentre tornano tra noi, e dopo la festa ritornano indietro; bella, e poeticamente ospitale, nella stessa notte tra l’1 e il 2 novembre, la tavola lasciata apparecchiata (vedi la poesia ‘La tovaglia’ di Giovanni Pascoli) perché gli stessi morti tornino a sedersi attorno al vecchio desco famigliare per consumare il cibo lasciato per loro. Sono scampoli di tradizioni pagane, per l’esattezza risalenti ai Celti, ancora vive tra noi, e che noi, anche se ormai cristianizzati, ci lasciamo ancora cucite nel cuore: ci piace quella materiale terrestrità che, abolendo, anche se solo per poche ore, il confine tra la vita e la morte, ci fa sentire più vicino, più umano, più immortalmente toccabile, il legame di sangue coi nostri trapassati. E se all’abate Odilone di Cluny, nel 998, nel fissare al 2 novembre la Commemorazione dei Defunti, doveva tremare la mano perché sapeva di sottrarre spazio all’analoga ricorrenza pagana, speriamo che la Chiesa, con mano più ferma, ci faccia amare di più il non ancora tramontato paganesimo.
Gianfranco Mortoni
Forse dovremmo cominciare ad amare un po’ di più noi stessi. Ad avere della vita un’idea che non ne ignori mai i confini, compreso quello estremo. E dunque a comportarci di conseguenza, sapendo che dal perimetro materiale e spirituale di cui abbiamo contezza, prima o poi si esce e ci s’inoltra dentro un terreno inesplorato. Credere di conoscerne già le misure e i coltivi o non crederlo, riveste poca importanza. Ne riveste di più l’aver presente la questione, evitando di rimandarla a un futuro che viene creduto eterno anche da chi dubita dell’eternità. Dunque il problema non è di rivalutare il paganesimo, ma di sottovalutare gl’idoli della quotidianità che con continui artifizi innalziamo a un rango che non meritano. «Ognuno vive dentro ai suoi egoismi, vestiti di sofismi, e ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri quadrati di terreno» ha cantato, leggero e realista, Francesco Guccini. Consci di questa pesante proprietà che ci appartiene a costo zero, varrebbe la pena di prepararci a usufruirne. Lo psicanalista Erich Fromm, che morì quasi trent’anni fa sul lago Maggiore, scrisse che morire è tremendo, ma «…l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile». Fa differenza, l’aver passato una vita o l’averla vissuta: scegliere la seconda ipotesi rappresenta un buon inizio della fine.
Max Lodi
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