Nel romanzo La promessa di Dürrenmatt, il protagonista, fedele al voto di trovare chi avesse barbaramente ucciso una bimba, attende vanamente in una stazione di servizio di individuare l’assassino. La casuale morte del colpevole in un incidente d’auto negherà al poliziotto la prova della sua corretta intuizione ed egli, abbandonato da tutti, morirà senza sapere di avere avuto ragione.
L’omicidio di Yara sembra riproporre drammaticamente il medesimo scenario, ma solo ad una lettura superficiale.
Le tracce ematiche sul corpo della giovane ragazza di Brembate hanno consentito di ricostruire il DNA dell’assassino. La comparazione di questo DNA con oltre 18.000 persone della zona ha permesso di ricondurre l’“impronta genetica” dell’omicida ad un soggetto determinato: il figlio illegittimo dell’autista di Gorno, morto da oltre dieci anni. I figli legittimi dell’autista hanno una mappa genetica analoga ma non uguale a quella ricavata dalle tracce lasciate sul corpo di Yara. Solo un altro figlio, evidentemente mai riconosciuto, ha il DNA dell’assassino.
Diversamente dal romanzo, non si tratta delle geniali intuizioni di un solo poliziotto. La scienza è venuta in aiuto alla tenacia dei familiari ed alle competenze ed alla professionalità degli investigatori e, soprattutto, del medico legale che ha effettuato le analisi.
Nell’ultimo ventennio molti sono i processi penali in cui la prova del DNA ha consentito sia di individuare colpevoli sia di scagionare detenuti innocenti. In Italia, se ne è avuta una prima dimostrazione nel caso di Massimo Carlotto, a metà degli anni Novanta, quando un capello della vittima sembrò consentire la ricostruzione di un DNA differente da quello del Carlotto, poi graziato dal Presidente della Repubblica.
La scienza è sempre più al centro del processo penale, ove la colpevolezza della persona accusata è spesso dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, proprio grazie all’uso delle nuove tecnologie.
Si pensi, ad esempio, ai pedinamenti satellitari, attraverso il sistema di localizzazione GPS, alle ricostruzioni su computer di avvenimenti particolarmente complessi oppure alle analisi del DNA.
L’assassino di Yara non ha un nome, ma ha un’impronta. Unica. La diffusione di banche dati anche a livello europeo (volte a censire il DNA degli accusati o condannati per determinati reati) potrebbe dare un volto a tale impronta.
E la promessa di trovare l’omicida di Yara potrebbe non apparire più del tutto vana.
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