Musica
Lunedì 30 Maggio 2011
Big, «Marinai, profeti e balene»
Affascina il viaggio di Capossela
È un album complesso e affascinante il doppio «Marinai, profeti e balene», parto di un artista poliedrico come Vinicio Capossela, richiede un ascolto attento e meditato. Innanzitutto perché, nell'era della morte del disco “in quanto tale”, è sempre più raro incontrare un progetto che onori, davvero, quella che appare sempre di più un'antica usanza
Innanzitutto perché, nell'era della morte del disco “in quanto tale” - inteso come opera d'arte, ciclo di canzoni con un inizio, uno svolgimento e una fine, con una “scaletta” ben definita - è sempre più raro incontrare un progetto che onori, davvero, quella che appare sempre di più un'antica usanza.
Ed è album, questo, addirittura doppio, ma forse non è solo un album. Per l'autore, che in copertina indossa un bicorno napoleonico (un'immagine che si può associare anche alla follia), è molto di più: è un'imbarcazione monumentale come quella di Fitzcarraldo, un'arca che contiene tutte le musiche, le parole, gli strumenti, un luogo dove convivono tutti i miti del mare. Ulisse, soprattutto con Polifemo, Penelope, Calipso, le sirene... E poi Achab e Moby Dick, Noè, Billy Budd, l'elenco è lungo. Richiede tempo per essere assimilato e dopo avere ascoltato anche in concerto la resa di questi brani non è forse azzardato affermare che si tratta, in assoluto, dell'opera più concreta e compiuta di un poeta musicista che si è preso tutto il tempo necessario per portare questa grande nave in porto. Gran parte dei brani arriva da un periodo compreso tra la realizzazione di “Ovunque proteggi” e “Da solo”, ma è stato necessario prendere tempo perché trovassero un logico sbocco in un lavoro tanto complesso da spingere alla creazione di un'etichetta personale, La Cùpa, per poterlo pubblicare proprio come inteso, senza compromessi, senza tagliare quei pezzi che alle orecchie di qualche manager potessero sembrare “inutili”. Perché non si tratta di una semplice raccoltina di canzoni, ma di un lungo viaggio. Un viaggio che inizia sull'onda del coro classico de “Il grande leviatano”, come fossero i titoli di testa di un film che trova subito l'allegria di una danza irlandese con “L'oceano oilalà”. La jazzata “Pryntyl” è il primo singolo, deliziosa storiella di una sirenetta che fa impazzire tutti, perfino il dio Nettuno. Il “Polpo d'amor” muove i suoi tentacoli su una morbida rumba. “Lord Jim” apre una galleria di personaggi letterari che prosegue con “Billy Budd” ma anche “La bianchezza della balena” (un recitativo come “I fuochi fatui”) e “La lancia del Pelide” sono di chiara derivazione. Si cambia disco per la gorgogliante “Goliath” con la successiva “Vinocolo” che racconta l'episodio di Polifemo dal punto di vista (e che punto di vista) del ciclope. “Le Pleiadi” è quasi un piccolo poemetto sinfonico ricco di suggestioni eterogenee. “Aedo” rende omaggio proprio a Omero, evidenziando, una volta di più, che come per Joyce e Kubrick, questa è l'Odissea di Capossela, la “magnum opus” della sua carriera. Forse per questo chiede l'intercessione de “La Madonna delle conchiglie” per non restare sempre prigioniero di “Calipso”.
Il futuro? Lo sa l'indovino, “Dimmi Tiresia”, come andrà il “Nostos”. Ma, non a caso, il tutto si chiude con il richiamo di quelle che, ancora, ti tengono per mare, “Le sirene”. A bordo di questa personale ricostruzione del Pequod incontriamo parte della consueta ciurma (Vincenzo Vasi, Alessandro Stefana), ma anche vecchi marinai richiamati in servizio (il trio Jimmy Villotti - Antonio Marangolo - Ares Tavolazzi, come ai tempi di “All'una e trentacinque circa”) e altri ingaggiati da terre lontane (Greg Cohen e Marc Ribot, il greco Psaradonis con la sua lira cretese) con una dedica a un capitano scomparso, Renzo Fantini, e all'Ulisse che abbiamo più amato, Bekim Fehmiu.
Alessio Brunialti
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