Musica
Lunedì 14 Maggio 2012
David Byrne, i 60 anni
di un genio poliedrico
Oggi David Byrne compie 60 anni. Un traguardo preceduto dall'appassionato omaggio che gli ha reso Paolo Sorrentino con "This Must Be The Place", il film che non solo prende il titolo da una sua canzone, ma concede anche uno strepitoso cameo musicale a questo scozzese che vive negli Usa praticamente da tutta la vita, ma ha conservato la cittadinanza britannica
Per quanto strano possa sembrare, è riduttivo definire un genio musicale David Byrne, che ha vinto un Oscar (insieme a Ryuichi Sakamoto per la colonna sonora dell'Ultimo Imperatore), diversi Grammy, un Golden Globe e fa parte della Rock'n'Roll Hall of Fame. Piuttosto vien da pensare che si tratta del prototipo dell'artista-intellettuale contemporaneo, capace di usare i linguaggi e gli strumenti (non solo musicali) del passato e del presente per andare verso il futuro.
In fondo non era forse un lampo verso il futuro la musica dei Talking Heads, che tra gli anni Settanta e Ottanta hanno portato la new wave nel solco del funk della metropoli? E non è stata forse una futuribile intuizione "My Life in the Bush of Ghosts" (il titolo del libro di Amos Tutuola), l'album registrato all'alba degli anni Ottanta con Brian Eno (altro geniale indagatore del tempo) che segna l'atto di nascita della World Music?
Venticinque anni dopo, per l'anniversario dell'album, i due misero in rete i file dei brani che potevano essere modificati dagli utenti, realizzando uno dei primi concreti progetti di quella composizione collettiva che è uno dei possibili approdi di Internet.
Per non dire del ruolo decisivo svolto da Rei Momo (suo primo album solista) per la popolarizzazione della musica latina, grazie anche alla spettacolare tournee che lo accompagnò e che fece riscoprire alle grandi platee del rock la forza irresistibile delle orchestre afro cubane. La Luaka Bop, la sua etichetta discografica dedicata alla World Music (ha pubblicato anche le Zap Mama), ha un'importanza simile alla Real World di Peter Gabriel.
Grazie ai Talking Heads David Byrne avrebbe potuto accontentarsi di fare la rock star, invece ha costantemente cercato nuove esperienze e nuovi linguaggi lungo la strada della contaminazione. Ha collaborato in teatro con Twyla Tharp e Robert Wilson, nel 1986 ha scritto, diretto e interpretato "True Stories", un diario di viaggio per immagini sull'America più insolita, ha persino realizzato l'esperimento di trasformare in una sorta di strumento musicale un vecchio palazzo di New York, di recente insieme a Fatboy Slim ha scritto un'insolita disco opera su Imelda Marcos che è andata in scena alla Carnegie Hall.
Negli ultimi anni si sta imponendo anche come artista visuale. Intanto non perde occasione per scagliarsi contro la sempre più in crisi industria musicale e per difendere il valore della musica e i nuovi strumenti di promozione e diffusione. Niente male per un sessantenne.
Paolo Biamonte
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