Non è detto. Sono comprensibili le critiche all'esecutivo per il modo in cui ha gestito, sino ad oggi, la crisi. Mercoledì scorso il presidente del Consiglio aveva adottato, alla Camera, la strategia del denial: negare sempre, anche l'evidenza. Autorevoli membri del governo hanno sostenuto, più o meno, che siccome non esistono provvedimenti che possano istantaneamente riportarci a crescere, tanto vale non adottarne nessuno.
Con la conferenza stampa di venerdì, però, c'è stato un cambio di passo. Il nostro mostruoso debito pubblico è figlio di troppi anni in cui la classe politica ha proposto due soluzioni passepartout a qualsiasi questione: facciamo una legge, aumentiamo la spesa. La crescita disordinata della spesa pubblica, ovvero il continuo ampliamento di funzioni, compiti, ambiti d'attività dello Stato, è potuto avvenire solo grazie all'indebitamento. Il pareggio di bilancio impone infatti l'equivalenza fra entrate e uscite. In pareggio di bilancio si può fare anche il comunismo: ma se non altro è un comunismo il cui conto viene presentato, istantaneamente, ai contribuenti che possono votare pro o contro partiti che interpretano una certa linea di politica economica.
Il ricorso al debito è stato, storicamente, strumentale a che potesse affermarsi il mito per cui i servizi forniti dallo Stato sono "gratuiti". Essi non lo sono mai: lo Stato non crea denaro dal nulla, ciò che spende deve essere necessariamente tolto ad altri, ovvero al settore privato, ovvero a noi tutti.
Il ricorso al debito da una parte, l'utilizzo politico della leva monetaria dall'altra, hanno fatto in modo che lo Stato potesse crescere al di fuori di ogni controllo - senza che i contribuenti si rendessero conto di quanto sarebbe costato magari non a loro, ma di certo ai loro figli.
Con la crisi del debito, siamo al redde rationem. Gli investitori pensano che ci manchi la credibilità e la forza per continuare a remunerare coloro che ci hanno prestato quattrini. Per recuperare credibilità, servono molte cose. L'anticipo del pareggio di bilancio al 2013 è una di queste. Riforme che vadano a vantaggio della crescita, e quindi della creazione di ricchezza, sono più che mai necessarie. Ma, una volta tanto, la promessa di cambiare la Costituzione non è un diversivo: la costituzionalizzazione del pareggio è un impegno preso solennemente davanti agli italiani e al mondo.
Non solo: se approvato in una versione coerente e cogente, cioè senza che la norma contenga le istruzioni per infrangerla, un nuovo articolo 81 della Costituzione può non solo dare credibilità alla politica di bilancio italiana ma segnare uno spartiacque culturale. In un paese che ha sempre pensato che il pubblico potesse essere la soluzione di tutti i problemi, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e la contestuale definizione di un limite massimo alla spesa pubblica rispetto al Pil possono essere l'inizio di quella "rivoluzione liberale" che aspettiamo da anni. Meglio tardi che mai.
© RIPRODUZIONE RISERVATA