Le scrivo dopo aver letto l’articolo intitolato “La vicina di casa L’ho visto piangere. Pensava che lo tradisse” a firma di Mauro Peverelli. Conosciamo i fatti: un ragazzo di 25 anni ha accoltellato, riducendola in fin di vita, una ragazza di 21, con la quale conviveva. Una vicenda drammatica, resa ancora più sconcertante dalla giovane età dell’aggressore e della vittima, che è a tutti gli effetti un femminicidio (tentato, nella speranza che la ragazza possa sopravvivere alle gravissime lesioni), la forma più grave della violenza di genere.
Sulla violenza contro le donne negli ultimi anni si scrive e si discute molto, ma ormai nessuno mette in dubbio la radice culturale del problema: è una forma di violenza che trova la sua motivazione nel desiderio di possesso, di dominio e di annientamento dell’uomo sulla donna. Nulla a che fare con l’amore, con la gelosia, con il tradimento, con un “raptus” momentaneo. Da tempo il giornalismo si interroga su come raccontare in modo corretto la violenza di genere, per non trasmettere messaggi equivoci che possano indurre lettori e lettrici a giustificare ciò che non è giustificabile in nessun modo e per nessun motivo. C’è oggi una diffusa consapevolezza della responsabilità dei mezzi di informazione che hanno il delicato compito di raccontare gli episodi di violenza contro le donne e nel farlo possono contribuire a rafforzare o a scardinare gli stereotipi su cui questa forma di violenza affonda le sue radici nella società.
L’articolo citato non apporta nessuna significativa informazione sui fatti avvenuti, ma attraverso le parole della vicina di casa pone l’accento sullo stato d’animo dell’aggressore, sul timore di essere tradito, su una relazione burrascosa tra i due. Per non parlare del titolo che mette in evidenza la sofferenza del ragazzo e spinge il lettore ad empatizzare con lui.
Nella versione online l’effetto è, se possibile, anche peggiore perché il contenuto si riduce drasticamente e l’unica informazione che fornisce è riassunta nella frase “L’ho visto che piangeva, sulle scale di casa. E allora mi ha confidato che era geloso e che temeva che lei lo tradisse”.
L’aggressione avvenuta nella nostra città ci ricorda che la violenza contro le donne è agita principalmente in ambito famigliare, spesso da compagni o ex compagni di vita. È inutile affannarsi a posizionare panchine rosse se non facciamo insieme una battaglia culturale e questa battaglia non può prescindere da come la violenza contro le donne viene raccontata. Non occorre una particolare sensibilità per rendersi conto che l’articolo in questione non rafforza questa battaglia ma, al contrario, contribuisce a normalizzare e a giustificare la violenza di genere.
Confido che Lei saprà cogliere lo spirito con cui ho deciso di scriverLe, non per esprimere una critica, ma per condividere delle considerazione che spero vorrà tenere in considerazione per dare una corretta rappresentazione di questo ennesimo episodio di violenza contro le donne.
Nel ringraziarLa per l’attenzione, porgo cordiali saluti.
Chiara Bedetti
Bob, niente pista
Meglio così
alla fine dopo tanti tira e molla la pista da bob a Cortina non si farà. Un po’ mi dispiace, ma alla fine risparmiamo un bel po’ di soldi. E dunque qualche ragione per essere contenti c’è. Almeno io lo sono?
Ettore Rubio
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