Biella: «Ho un pensiero solo. Tornare in serie A1 con Cantù»

Lo sponsor e consigliere del club si prepara alla finale playoff con Scafati

La grinta è sempre la stessa. Da inguaribile innamorato della Pallacanestro Cantù. Lo era da tifoso sugli spalti.

Lo è adesso, che ha deciso di marchiare con il fuoco il brand di famiglia (Acqua S. Bernardo) su maglie che d’improvviso, in suo onore, sono diventate biancoverdi, o verdebianche a seconda dell’utilizzo.

Antonio Biella, insomma, e lo avrete capito, non è uno sponsor e basta. Uno sponsor qualunque. È un tifoso canturino, oltreché rappresentante del consiglio di amministrazione della società.

Ci siamo, dunque...

Restano tre vittorie per arrivare dove dovremo essere. Anzi, quattro.

Come quattro? Che fa, esagera?

E no. Quattro, perché io voglio anche lo scudetto dell’A2, quello che si giocheranno le vincitrici delle due finali, con la promozione già in tasca. Io non mi accontento mai.

Quindi non solo vuole la serie A, ma pure il rinforzino...

Per me, anzi per noi come azienda e famiglia, sarebbe la degna chiusura del cerchio.

Ecco, adesso ci fa spaventare. Cos’è questa storia?

La chiusura di un primo cerchio, tranquilli. Perché dopo essere scesi in A2 con il nostro nome sulle maglie, adesso vogliamo fare di tutto per ritornare in A con le stesse nostre divise. Mi pare normale come ambizione. Non trovate?

Certo, certo. È che messa così prestava il fianco a più di un’interpretazione...

Poi, sia chiaro, io resto a totale disposizione della società. E i miei soci, i dirigenti, lo sanno. Era inteso fin dal primo giorno.

Ma cosa vuol dire?

Significa che in presenza di un’azienda con un orizzonte e una potenzialità superiore alla mia, sono disposto a fare un passo da parte. Lasciando strada, ma non abbandonando la Pallacanestro Cantù. E lo ripeto: non abbandonando.

Ma perché ci stiamo inerpicando in discorsi del genere? Non ci sarebbe da festeggiare un approdo in finale dopo un bel 3-0?

Infatti.

E allora?

Allora, come vi ho già detto, l’appetito vien mangiando.

Mangiamo, quindi, tanto l’acqua sappiamo chi la porta...

Sono sempre stato fiducioso, questa squadra mi è piaciuta fin dal primo momento.

Cosa l’ha colpita maggiormente?

Il modo in cui sono state superate le difficoltà. Il Covid, l’americano Robert Johnson no vax e l’infortunio a Luigi Sergio. Oltre ai cari grattacapi che accadono a tutti in una stagione e che quindi erano di per loro già nel preventivo.

Diciamo che - dopo le disgrazie dell’anno della retrocessione - anche stavolta non vi siete fatti mancare nulla...

Diciamo che certe situazioni, per mia inclinazione, paradossalmente non fa male averle. E recuperare e superarle è meglio ancora che non trovarsele solo tra i piedi.

Sta ragionando per assurdo, vero?

No, lo sto dicendo concretamente. Sapete che vi aggiungo? Che tutti i problemi che la squadra ha dovuto affrontare non hanno fatto altro che rafforzarla. Ce ne stiamo accorgendo adesso e ne avremo la conferma anche in finale, vedrete.

Una sorta di sofferenza preventiva per poi crearsi la corazza migliore e andare avanti?

Una sorta di misurazione delle capacità di un gruppo. E questo ne è venuto fuori alla grande, confermando quei valori, sportivi e morali, che accompagnavano i ragazzi al loro arrivo a Cantù. Gente abituata a lottare e che ha lottato, e tanto, per tutta la stagione.

Dicono che lei sia uno che si affeziona ai giocatori.

Togliete pure il dicono.

Cioè?

Tutte le squadre di Cantù le sento un po’ mie. Adesso, poi, che sono parte in causa ancora di più. Fosse per me, non cambierei mai nessuno, non taglierei mai un giocatore.

Ma questo gruppo le piace particolarmente o è un’impressione sbagliata?

Impressione esatta. Aiuta, e non poco, il fatto di contare su otto giocatori italiani e solo due stranieri. È un po’ come fare un salto indietro nel tempo, a quella Clear Cantù che con solo due americani mi aveva fatto innamorare di questo gioco, di questi colori e di questa città. Riconosco, però, che dovrei provare a distaccarmi un po’ dall’aspetto emotivo.

E perché? A noi e alla tifoseria piace proprio per questo.

Va beh, allora vedremo.

Torniamo alla squadra. Cresciuta, non crede?

Eccome. Partita da favorita, e non c’era alcun dubbio, visto il roster. Con quell’alone un po’ snob, quasi da puzza sotto il naso. Poi ha saputo cambiare, trovando una sua identità ben precisa. E io ho chiaro il momento della svolta.

Ce lo dica, allora.

L’infortunio di Gigi Sergio. Lì l’atteggiamento è cambiato, totalmente. L’ho letto negli occhi e negli sguardi dei giocatori. Quasi si cominciasse a ragionare seriamente sul destino del gruppo e di ognuno.

Favorita era, favoriti per un po’ lo sono stati altri, favorita potrebbe ridiventare...

So a cosa vi riferite.

No, perché? Non abbiamo ancora finito la domanda.

Vi fermo, so che vi riferite al giocatore che abbiamo aggiunto. E che giocatore, non uno qualunque, ma un ex Nazionale come Luca Vitali. E poi al fatto che sia siano vinti quarti e semifinale con un 3-0 e in 3-1.

Quindi le domande può farsele direttamente lei, d’ora in avanti.

No, no. Prego...

Allora adesso cosa succede?

Succede che dobbiamo pensare di tornare in A1. Ce l’hanno chiesto la gente, gli sponsor e l’ambiente. Dobbiamo e possiamo, ne sono sicuro. Anche perché è fondamentale per il nostro destino.

L’ambiente, ecco. Il ritorno degli Eagles?

Che bello, che emozione. Loro sì, sono già da serie A. La tifoseria più importante del campionato. In casa e fuori.

Come si fa a vincere?

Pensando a ogni azione, più che a ogni partita. E lottando su tutti i palloni.

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