Basket / Cantù - Mariano
Domenica 05 Aprile 2020
Borghi: «Torniamo a sognare
Al basket serve una rivoluzione»
La ricetta dell’ex giocatore della Pallacanestro Cantù: «Ci sarà un ridimensionamento»
Provocazione? Forse. Lucida follia? Anche. «Idee, chiamiamole con il loro nome: idee. Voglio solo provare a dare un contributo, riunire un po’ di gente che abbia voglia di condividere il progetto e aprire una discussione. Ma seria e non fine a se stessa».
Non ha mai smesso di sognare, Fabio Borghi - ex giocatore della Pallacanestro Cantù ora imprenditore e patron dei Cucciago Bulls, 280 ragazzi che - dal minibasket in su - riempiono i suoi due palazzetti (Albate e il e Cucciago), e non solo.
Cos’è questa storia del comitato per studiare i capisaldi del basket che sarà, post emergenza
Niente di più che una serie di idee da mettere in fila e condividere con chi avrà voglia di fare. Voglio coinvolgere, e in parte ci sto riuscendo, gente che sa di basket e lo può spiegare. Lo farò in provincia e fuori, se è il caso. L’importante è fare.
In che modo?
Partendo subito, per non farci trovare impreparati. Maggio, giugno, luglio? Nessuno sa quando ripartiremo e se. E soprattutto come. Quante società ancora ci saranno, che intenzioni ha la Federazione a livello di contributi da erogare, quanti sponsor ritroveremo ancora disponibili ad affiancarci. Incognite che dovremo cercare di governare.
Impresa che, ce lo consenta, vista così non appare facile...
Ecco perché dovremo essere il più possibile uniti. A questo basket, così come a tutto lo sport e alla nostra vita, bisognerà dare una scossa. Una rivoluzione, dovesse servire. A cominciare dal vertice.
Ma come?
Prendiamo la A. E non parlo di A o A2, solo di A. Un campionato professionistico che limiti gli stranieri a non più di due. Poi solo italiani e dentro i giovani, ora tesserati per fare l’undicesimo e il dodicesimo senza mai mettere piede in campo. Adesso va di moda andarci in 12 a referto, quindi facciamo 10+2, ma per me si potrebbe fare pure come ai miei tempi, quindi 8+2.
Non ci dica che si metterà lei a fermare tutto quello che è stato dalla Bosman in avanti, con la libera circolazione dei giocatori, specie se professionisti?
Sarà dura lo so, ma da qualche parte dobbiamo pur ripartire. Serve un ridimensionamento a tutti i livelli. Se bisogna cadere, cadiamo tutti. Ma se bisogna rialzarsi che lo si faccia insieme.
E poi con lo spettacolo come la mettiamo?
Nessun problema, tempo un mese e tutti capirebbero il momento, anche i tifosi. Che tornerebbero a riempire i palazzetti. Succederebbe pure a Desio.
E con le ambizioni europee delle corazzate in che modo ci poniamo?
Milano vuole e ha i mezzi per giocare l’Eurolega? Bene, si faccia una seconda rosa e continui. Stesso discorso per Venezia e Bologna, giusto per fare degli esempi.
Ma italiani abbastanza per riempire tutte quelle rose ce ne sono?
Sì, se si avrà il coraggio di lanciare i giovani. Bisogna far tornare a sognare i nostri ragazzi, che da troppi anni si fanno il mazzo nel vivaio senza vedere sbocchi in serie A. Ai miei tempi anche i giovani avevano una chance. E i giovani di allora (da Buratti a Bianchi, da Foschini a Milesi, da Angiolini a Moscatelli, Asnaghi e Borghi) ora giocherebbero comodi in serie A.
Pare che si sia dimenticato di un certo Di Giuliomaria...
Macché dimenticato. Di Giulio è l’ultimo giocatore fenomeno italiano visto negli recenti 25/30 anni. Fuori categoria.
Un altro che giocherebbe tanto, in questo epoca.
Trentacinque minuti, non di meno. Ma giocherei anch’io in A...
Cosa si può fare per tornare a quei tempi?
Ragionare come una volta e ricominciare a fare sognare i nostri ragazzi.
Ci pare un po’ troppo semplicistico. Servirebbero i fatti...
E allora vi dico: niente stranieri, a parte la serie A, ma nemmeno nei settori giovanili, visto che ormai ci sono squadre che pescano solo all’estero. In questo modo si costringerebbero le società a lavorare (e migliorare) i ragazzi del settore giovanile.
Basta? Mah...
Certo che no. Proviamo a ripristinare il vincolo e a togliere di mezzo i procuratori già dai vivai.La nostra idea è: le società che hanno i mezzi devono pagare per i giocatori e il flusso di denaro resterebbe nel basket, invece di disperdersi come accade ora. E questa è l’impostazione generale.
Per arrivare a...
A una riorganizzazione dei campionati. C’è bisogno, facile intuirlo, di un ridimensionamento generale, che oggi è forse solo nei pensieri dei dirigenti, ma che va attuato per forza di cose. Invece di fare la corsa, alla ripresa, a contattare agenti e vedere video di giocatori dall’altra parte del mondo, perché non attivare, o riattivare, i propri staff per cominciare a lavorare sui giovani che si hanno in casa, magari tutta l’estate, per migliorarne le qualità?
E a Roma come fate a farvi sentire?
Ve l’ho detto. Serve un’azione condivisa, una spinta che venga dal basso. Arrivo all’assurdo di dire che, comitato per comitato, regione per regione, si può pensare addirittura a un referendum per poi andare a bussare al portone della Federazione.
Convinto di non essere da solo e di non cavalcare solo un’utopia.
Per l’utopia potrebbe anche essere, ma d’altronde bisogna anche convincersi del fatto che niente sarà più come prima e che da qualche parte, o da qualche idea, bisognerà pur ripartire. Da solo non sono, perché gente che mastica e vive di basket ne ho contattata, ricevendo dei feedback. Comunque c’è una cosa importante.
Quale?
Che bisogna tornare a parlare di pallacanestro. Di basket facciamo parlare l’Eurolega, che ha l’ambizione di avvicinarsi sempre più alla Nba, e la Nba stessa. Parlare di pallacanestro vuol dire italiani, vivai, cartellini, staff, qualità e lavoro in profondità.
E i suoi “torelli” come stanno?
Sono tutti a casa. Cestisticamente parlando, sono in tanti a seguire il programma, via Zoom, di Patrick Johnsen, il nostro coach americano che per un’ora e mezzo al giorno fa lavoro aerobico, con tecnica e palleggi. Più che altro per tenerli impegnati. Poi lo studio e la famiglia, l’importante è che abbiano da fare. Questa è la nuova generazione che si sta abituando velocemente alla nuova epoca.
Lei cosa si aspetta per il dopo?
Che ci sia una gran voglia di ricominciare. Quando non lo so, ma potrebbe essere (pur con tutte le restrizioni del caso) un’estate di lavoro e allora noi, tra Cucciago, Albate e con i camp di Chiavenna, dovremo essere pronti a ripartire. Con staff all’altezza, stimoli, ambizioni e nuove idee.
Rimarranno sul campo, nel senso che spariranno, anche tante società dilettantistiche?
Questo non lo so. Dipenderà anche dal piano di interventi e di aiuti che vorrà mettere in atto la Federazione, che per me non potrà concedersi il lusso di perdere realtà che costituiscono il suo patrimonio. E poi voglio sperare che non ne risentano troppo gli sponsor, perché vanno bene i dirigenti, vanno bene le famiglie, ma senza questi aiuti fondamentali non si può reggere per tanto.
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