Basket / Cantù - Mariano
Venerdì 29 Gennaio 2021
Cantù: coach,
esoneri e sorprese
L’inatteso flop di Diaz Miguel e il turbo innestato da Dado Lombardi per il ritorno in serie A1. E la girandola sovietica di Gerasimenko, da Bolshakov a Bazarevich a Pashutin. Le due volte di Arrigoni. E ora Bucchi.
Nell’era moderna, da quando la pallacanestro si è trasformata in basket, in nove stagioni la Pallacanestro Cantù ha provveduto in corsa a cambiare la propria guida tecnica. L’attualissimo passaggio di consegne da Cesare Pancotto a Piero Bucchi è infatti solo l’ultimo capitolo di un libro che era stato aperto nel 1993-94. Era la Clear affidata allo spagnolo Antonio Diaz Miguel, successore di Fabrizio Frates che l’anno precedente aveva condotto la squadra canturina (5a in regular season) in semifinale scudetto, dove poi venne eliminata dalla Kinder Bologna.
L’avventura del tecnico iberico in terra di Brianza durò lo spazio effimero di 6 partite di serie A, contrassegnate da 4 sconfitte. Ma a ciò occorreva aggiungere il 2 su 6 in Coppa Italia (eliminazione nei quarti di finale per mano di Trieste) e l’1 su 4 in Coppa Campioni. Panchina quindi affidata a Bruno Arrigoni, ma stagione che si chiuse con l’ingloriosa retrocessione in A2.
Dalla seconda serie, la Polti si risollevò un paio di stagioni dopo quando furono tre gli allenatori a susseguirsi: si iniziò con Giancarlo Sacco ma dopo 5 gare finì tutto e a subentrargli fu il traghettatore Bruno Arrigoni che dopo una sola partita cedette il comando delle operazioni a Gianfranco Lombardi. Il coach recentemente scomparso si rese autore di una cavalcata trionfale, con 23 successi in 26 gare di regular season e con l’en plein (6/6) nei playoff.
Nel 1997-98 (sempre Polti) fu Virginio Bernardi a succedere al “Dado”, ma a seguito di un solo successo nelle prime sei partite, la panchina venne affidata al vice Massimo Magri che ottenne 8 affermazioni in 20 gare di stagione regolare e che venne eliminato negli ottavi playoff dalla Fontanafredda Siena.
A cavallo del millennio ecco terminare l’avventura canturina di Franco Ciani, avviatasi nel 1999: il tecnico friulano pagò il pessimo avvio, contrassegnato da una sola vittoria in 11 incontri. A quel punto, il presidente Franco Corrado decise di consegnare la Poliform al trentenne Pino Sacripanti, cresciuto nella cantera. E la salvezza che pareva un miraggio si materializzò grazie a un percorso contraddistinto da 11 successi a fronte di 12 ko.
Dopodiché per i successivi tre lustri si proseguì all’insegna della continuità, nel senso che chi partiva, arrivava anche a fine stagione. Alle sei annate intere di Sacripanti seguì così il biennio di Luca Dalmonte, il quadriennio di Andrea Trinchieri e un nuovo biennio Sacripanti.
Dal 2015-16, invece, in concomitanza con la proprietà del club diventata russa, un autentico tourbillon. Fabio Corbani, assoldato sotto l’epilogo della gestione Cremascoli, venne invitato alla porta dell’Acqua Vitasnella dopo 11 partite di campionato, con il suo vice Nicola Brienza traghettatore per un paio di incontri, in attesa dell’arrivo di Sergej Bazarevich che non andò oltre le 7 vittorie in 17 partite di regular season. L’anno seguente, squadra (Red October) nelle mani del lituano Rimas Kurtinaitis che durò 9 partite (7 sconfitte) prima che si virasse sull’ucraino Kirill Bolshakov (5 affermazioni in 11 match) e infine su Carlo Recalcati che nella decina di gare ancora a disposizione condusse Cantù a una salvezza che non era affatto scritta.
Altro giro altro regalo: il 2017-18 iniziò con la Red October di nuovo a Bolshakov che perse la prima sfida a Sassari (94-80) e venne subito infilato a favore del suo vice Marco Sodini. Quest’ultimo confezionò una regular season da 16 gare vinte su 29, entrando da 7° nei playoff dove però trovò la strada sbarrata da Milano che si aggiudicò la serie per 3-0. Nuovo avvicendamento l’anno successivo: il russo Evgeny Pashutin a un certo punto, non senza sorpresa, si alzò e se ne andò dopo aver maturato 7 affermazioni in 17 incontri. Dunque, più di un esonero, un’uscita di scena volontaria.
Così la S. Bernardo venne consegnata al suo vice, quel Nicola Brienza che si rese autore di un’intrepida corsa con 9 successi nelle 13 gare restanti.
Il resto, è storia di oggi.
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