Jukebox Lienhard: «Dopo
ogni gara ascoltava un disco»

La moglie di Bob apre l’armadio dei ricordi. Country, blues, musical ma anche Nanni Svampa. «Era newyorkese, però amava il dialetto brianzolo»

A Bob piaceva il “suono del silenzio”. Spente le luci del palazzetto e l’eco degli applausi, tornava a casa da Angela e sceglieva il suo silenzio. Ma non nel senso letterale del termine. Anzi, tutt’altro. Il “suono del silenzio” che piaceva a Bob era quello cantato da Simon and Garfunkel. Ma pure le note di una qualche sinfonia di Mozart, o il ritmo della chitarra country di Johnny Cash o del soul dei Temptations. La colonna sonora di un campione.

Il Bob in questione è Bob Lienhard, uno scudetto, tre Coppe Korac, un’Intercontinentale e due Coppe delle Coppe con la pallacanestro Cantù. Un omone di 2 metri e otto centimetri di bontà e gentilezza, proprio come la sua musica. Un pezzo di storia sportiva della Brianza, scomparso nei primi giorni d’autunno, lo scorso anno. Ad aprirci la teca dei suoi vinili è la moglie Angela, per 45 anni compagna di vita e di passioni di Bob. È una colonna sonora d’altri tempi, quella che racconta la vita di questo campione del Bronx per nascita, ma brianzolo per scelta.

«Ha sempre amato la musica – ricorda la moglie, mentre sfoglia i vecchi lp come un album dei ricordi – Tornava a casa dopo la partita, prendeva un disco e lo piazzava sul piatto». L’inconfondibile fruscio di fondo della puntina alle prese con qualche residuo di polvere, prima che la musica riempisse le casse e la casa.

«Abitavamo in una casa bellissima, sulla strada per Cucciago – spiega ancora Angela – una di quelle case di campagna vissuta e piena di vita». E di musica, ovviamente. Niel Diamond o Diana Ross, quando c’era bisogno di un sottofondo d’atmosfera; i Fifth Dimension di Aquarius per assaporare il sound degli States anni Sessanta; Johnny Cash o il blues, quando a casa nel dopo partita arrivavano i compagni di squadra: il “Pierlo” Marzorati, “Charlie” Recalcati, “Ciccio” Della Fiori: «Chiedevano quasi sempre un disco country o uno blues. A loro piaceva quella musica. E così Bob prendeva l’album adatto e ci ritrovavamo tutti assieme in cucina a bere, mangiare un piatto di pasta e a chiacchierare».

Dall’inizio degli anni Settanta per otto anni consecutivi, Bob Lienhard è il lungo titolare della squadra-miracolo del presidente Aldo Allievi e di coach Arnaldo Taurisano, scomparso proprio in settimana. Lui, newyorkese di nascita e di formazione, l’America l’aveva trovata in Brianza. E la sua America, lui che aveva rifiutato la Nba perché preferiva scendere in campo piuttosto che stare in panchina, aveva lo sguardo di Angela e parlava il dialetto di Nanni Svampa. «Ah quanto gli piacevano i dischi in dialetto» ricorda la moglie. E di lp “strani” ce ne sono, nella collezione di questo pivot cresciuto cestisticamente nei Georgia Bulldogs, prima di approdare in Italia: Cochi e Renato, Gabriella Ferri e, appunto, Nanni Svampa: a l’era sabet sera / e l’era ciocch tradii / gh’era passaa la voeuja / de ’ndà cà a dormì.

«Bob l’ho conosciuto poco dopo il suo arrivo in Italia – ricorda Angela – Io studiavo lingue e mi piaceva il basket. Vado a vedere una partita e lo conosco. Ho pensato: “Mi tiro su con l’inglese” e ho iniziato a uscire con lui». Di sposarsi non è che ne avessero voglia: «Io il matrimonio lo vedevo come fumo negli occhi. Dopo qualche anno che ci frequentavamo ci siamo detto “proviamoci, al massimo poi ci lasciamo”. Siamo andati avanti 45 anni».

In casa Bob porta ovviamente tutta la sua discografia. Destinata ad ampliarsi: «Quando ci siamo sposati, l’italiano lo sapeva poco. Per migliorarsi ha iniziato ad ascoltare la musica». Ed ecco Svampa e Gabriella Ferri. Ma la vera passione di Lienhard sono i musical e le colonne sonore: West side story, Mary Poppins, Jesus Christ Superstar: «Siamo stati a Broadway a vedere qualche spettacolo assieme». Ma Bob a New York non ci tornava così spesso: «Si è innamorato immediatamente dell’Italia – spiega Angela – Amava andare in trasferta con la squadra e scoprire le bellezze del nostro Paese. L’arte, la storia, la cultura. E, soprattutto, la cucina». Ce lo vedete un newyorkese alto più di due metri a fare la polenta sulla stufa?

«Nel nostro casale c’era sempre la musica. E c’era sempre gente. E c’erano sempre cani, lui li adoravi: è arrivato dall’America con un Golden Retriever». Ogni cosa, in quel casale, «sapeva di lui, della sua bontà e della sua generosità». Angela e Bob hanno sempre fatto volontariato, soprattutto nelle case di riposo. «Un’amica un giorno mi dice: “guarda che ci sono anche i bambini”. Ma io non ho la pazienza, le ho spiegato». Poi, un giorno, “il Robi”, un bambino originario del Togo, aveva bisogno di una “seconda” famiglia. «Io e Bob ci siamo guardati e abbiamo detto: sì, facciamolo».

Robi è cresciuto con loro: «Oggi studia grafica industriale all’università. Quando è morto Bob è venuto alla camera ardente, si è inginocchiato e gli ha preso la mano. È rimasto così tantissimo tempo».

Per Cantù Bob ha giocato per 8 anni. Poi ha fatto tre anni a Treviglio e tre a Monza, «perché adorava giocare». Terminata la carriera sportiva, ha messo a frutto la sua laurea in economica andando a lavorare nello studio Corrado: «Non ha mai pensato di tornare in America. La sua terra ormai era questa. Il suo cuore era qui». Dell’America si è tenuto l’accento del suo italiano e la colonna sonora dei suoi lp.

Paolo Moretti

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