«Palazzo e squadra»
Gli obiettivi di Mauri

Parla Andrea Mauri. Prima come uomo di Tic e poi in prima persona. Mettendoci sempre la faccia. Nei momenti brutti e in quelli belli.

Dalle cime tempestose agli orizzonti (bianco)azzurri. Sei anni di montagne russe (e il riferimento è puramente casuale...) con lui sempre lì. Prima come uomo di Tic e poi in prima persona. Mettendoci sempre la faccia. Nei momenti brutti e in quelli belli.

Andrea Mauri, ad di Pallacanestro Cantù e di Cantù Next, ora è un uomo tranquillo?

Tranquilli non si è mai. Specie quando c’è tanto da fare.

E dopo lunedì scorso come giudica il momento?

Cruciale. Abbiamo raggiunto un obiettivo. Con il passaggio in consiglio comunale a Cantù del progetto del nuovo palazzetto che chiude forse la seconda fase del percorso. E subito dopo, martedì, se ne è già aperta un’altra.

E adesso verrà il bello...

Il progetto va visto nel complesso di un piano industriale globale che ora acquista un valore ancora più marcato, non solo per i tifosi, ma anche per i cittadini e per il territorio. Per la Pallacanestro Cantù è una grande opportunità, una sorta di bandiera sotto la quale rappresentare le eccellenze del territorio.

Non vorremmo essere nei suoi panni.

Quanto sente la responsabilità?

Diciamo che le responsabilità le sentiamo da qualche anno. Ma gli ultimi due sono stati decisivi per scrivere il futuro del club e del nuovo palazzetto, che sarà un’opportunità anche per la città e tutti i cittadini.

Cosa le è passato per la testa dopo aver sentito l’approvazione all’unanimità del consiglio comunale?

Sono tornato al luglio/agosto del 2015, a quando cioè abbiamo deciso di metterci in prima linea. Inutile stare ora a ricordare tutte le vicissitudini dei primi anni, ma in noi è stata talmente forte la consapevolezza che siamo riusciti a sopravvivere a tutto.

Chissà che soddisfazione, adesso, per lei...

Ripenso al percorso incredibile, ai pochi pionieri che c’erano nel 2015, grazie ai quali è nato il progetto attuale. Oggi invece, tra consulenti, architetti, ingegneri e varie professionalità abbiamo una squadra di 50 persone al lavoro giorno e notte. E quando dico giorno e notte non è un’esagerazione.

Addirittura?

Dall’anno scorso ho sulla mia scrivania un plan fino a ottobre 2023 con già segnate tutte le giornate e i vari sviluppi. E, fino a lunedì scorso compreso, non ci siamo spostati neanche di un giorno rispetto al piano originale.

Quando vede lo scheletro del PalaBabele in viale Europa cosa le passa per la testa?

Dobbiamo farcela. Non c’è altra frase. Dobbiamo farcela.Per noi, per Cantù e per la pallacanestro. Lo sappiamo bene noi, che in sei anni abbiamo ingoiato qualsiasi tipo di rospo.

E ripercorrendo gli ultimi due anni che immagini o che pensieri la accompagnano?

Ho soprattutto un grande rammarico. Con le idee che c’erano già sei anni fa, ci fosse stata l’intenzione di condividerle un po’ ora saremmo molto più avanti. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Anzi, servono anche da lezione.E ora possiamo dire di essere lo stesso a metà del percorso.

Percorso lungo il quale siete stati bravi a inventarvi Cantù Next...

Eravamo in pochi al momento del progetto iniziale: Davide Marson, che ci ha messo le energie per partire, Sergio Paparelli e un manipolo di imprenditori. Ora invece è qualcosa di grande e forse più strutturato e importante di quella che era stata l’idea di partenza: c’è una società con altri partner del territorio, diciotto imprenditori, e un fulcro più che attrattivo, viste le richieste di far parte della squadra.

E dall’altra parte, giusto per non dimenticarsi, c’è Pallacanestro Cantù.

La parte sportiva del piano industriale globale. Stiamo portando avanti il percorso di crescita, che non è certo rallentato dalle preoccupazioni del periodo. Che ci sono, non le nascondo. Ma stiamo cercando di sopperire alle difficoltà accontentando le richieste dell’area tecnica. Non dobbiamo mollare. Abbiamo vissuto in questi anni momenti ben più critici e pericolosi, non bisogna lasciarsi andare adesso.

Lo sport nazionale, anche da queste parti, è quello di criticare sempre e comunque: cosa risponde a chi dice che con la retrocessione della squadra verrebbe meno anche il progetto del palazzo?

Che il nostro piano industriale è work in progress, che prevede aziende vere e proprie e che ci fa ragionare da azienda. Ecco perché siamo lontani dalle solo logiche sportive. Serve un cambio di mentalità. Stiamo parlando della costruzione di una grandissima infrastruttura, il perimetro di azione è molto più allargato e sarebbe da irresponsabili legarlo solo ed esclusivamente a vecchi stereotipi, che portano solo al risultato della domenica sera. Qui la visione è molto più ampia.

E come si articola?

Si parla di un budget, per la squadra, di 2/3 anni e di un investimento, per la struttura, di svariati milioni: a queste condizioni pensate che si possa ridurre tutto a un tiro sbagliato di un giocatore o auna partita sfortunata?

Il risultato è però innegabile che possa giovare...

Su questo non ci sono dubbi. E la società deve ambire ai risultati. Questa è la Pallacanestro Cantù degli scudetti e delle Coppe e vorremmo riportarla ai livelli che le competono. Per farlo però bisogna creare solide condizioni. Successi effimeri non ci interessano, qui si parla di gettare le basi per i prossimi 30 anni e oltre del club.

E per farlo vi state allargando anche fuori città...

È fondamentale ragionare a livello di territorio. I soci di Cantù Next e i partner di Pallacanestro Cantù lo stanno comprendendo. Così come l’amministrazione comunale, che sa di poter diventare il fulcro territoriale. Con un’arena di 5.220 posti che potrà significare sport - anche e soprattutto a livello giovanile -, cultura e svago per tutti.

Nel suo plan quale percentuale occupa la fetta di Cantù Next e quale quella della società?

Per ovvi motivi, vista l’evoluzione delle cose, sono quasi completamente concentrato sul palasport. Ma non per questo la società non ha incrementato la propria struttura, anzi.

Soffre sempre alle partite?

L’animo del tifoso ha sempre il sopravvento. Non si spegne mai.

Che squadra è, allora?

La premessa è che, visto il personale livello tecnico, la mia è un’analisi da bar. È una squadra costruita con il budget che sappiamo, e che pur con qualche limite dovrà sempre dare il 100%. Com’è da tradizione.

Dispiaciuto per come è andata a finire la storia con Pancotto?

Tanto. Perché era iniziato un percorso che sarebbe dovuto arrivare almeno alla fine del biennio. E poi per il bellissimo rapporto umano instaurato.

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