«Cantù una mamma, Udine è stata casa. E ora “amo” Hickey»

Intervista con Christian Di Giuliomaria, doppio ex della prossima sfida. «Ritengo la S.Bernardo di poco favorita per il vantaggio del fattore campo»

Un quadriennio in serie A con la Pallacanestro Cantù (periodo compreso tra il 1996 e il 2000, debuttando a 17 anni) e uno stesso arco temporale trascorso alla Pallalcesto Udine (dal 2005 al 2009). Christian Di Giuliomaria, 45 anni da compiere tra un mesetto, è tra i diversi doppi ex della sfida che animerà una delle semifinali più attese del campionato di A2. Probabilmente, però, è l’ex per eccellenza se visto dalla sponda brianzola perché il “principe” romano di 2.10 d’altezza è approdato da questi parti poco meno che ragazzino per poi stabilirsi definitivamente, mettendo su casa e famiglia a Inverigo.

Per la cronaca, in questa stagione è stato il primo assistente di Nazareno Lombardi a Brianza Casa Basket in serie B nazionale, nonché responsabile del settore giovanile e capo allenatore dell’Under 17 d’Eccellenza in quel di Bernareggio.

Dunque, che ci può dire di questa serie di semifinale ormai alle porte?

Avendo anche fatto personalmente qualche serie di playoff nel corso della mia carriera, la prima cosa che mi viene da sostenere è che non ce ne sono di serie già scontate anche quando una delle due squadre si farebbe di gran lunga preferire. Figuriamoci allora tra Cantù e Udine dove non ravviso chissà quali significative differenze.

Entriamo più nel dettaglio.

Serie equilibrata perché Udine è da anni che prova a tornare nel massimo campionato, del resto al pari di Cantù. Inoltre, vantano entrambe una tifoseria che “spinge” e pure parecchio. La squadra friulana ha un presidente molto ambizioso che conosco bene e che farà di tutto per extramotivare i suoi giocatori (anche se mancherà Clark, ndr), ma personalmente vedo la S.Bernardo leggermente favorita soprattutto perché si presenta con il vantaggio del fattore campo. A proposito...

A proposito?

Mi auguro che gli idioti siano finiti, perché vorrei davvero non leggere più di un PalaDesio squalificato per colpa di qualche tifoso (il riferimento è ai fatti avvenuti al termine di gara 1 dei quarti con Cividale, ndr). In questo momento della stagione potersi permettere il fattore campo è troppo importante, anche se è vero che i playoff ci hanno abituato a registrare qualche colpetto anche in trasferta.

Ciò detto?

Entrambe le formazioni sono state costruite per raggiungere l’obiettivo serie A.

C’è qualche giocatore canturino che apprezza più di altri?

Mi fa morire Hickey perché mi riporta agli americani che si vedevano da noi una volta, quelli che si prendevano la squadra sulle spalle con le loro giocate. Ne vedo pochi in giro della sua caratura. A ciò aggiungo che attorno a lui c’è un gruppo di giocatori veramente di livello. Ma uno straniero di questo tipo in squadra è sicuramente un valore aggiunto.

Dall’altra parte?

Nelle tre partite dei quarti, Gaspardo ha prodotto numeri interessanti, ma complessivamente mi sembra ci sia un parco giocatori che si equivale quanto a rendimento.

C’è qualcuno che potrà far la differenza?

Non credo, perché nei playoff non è tanto il singolo quanto piuttosto la squadra a incidere. In queste situazioni si vede molto più la mano dell’allenatore, anche nella capacità di adeguarsi tra una partita e l’altra. A ciò si aggiunga la concentrazione e la determinazione della squadra perché si tratta di affinare talune situazioni tattiche anche nel giro di pochissime ore. E dunque bisogna essere più che mai sul pezzo.

Parliamo ora di lei in riferimento a queste due “piazze”. Cos’è stata Cantù?

Premessa. Io ho rifiutato uno dei contratti forse più ricchi del basket giovanile, quello dello Kinder Bologna, quando avevo 14 anni perché mi sono innamorato di Gianni Corsolini e Pino Sacripanti.

In che senso?

Il buon Gianni mi disse: “se vieni da noi quando avrai poi 17 anni potrai vedere il tuo nome su quei cubettini di legno di cui si occupa il Mino (il mitico custode del Pianella, ndr)”. Rimasi affascinato. Quanto a Pino, mi ha messo in palestra con il piacere di restarci più tempo possibile e mi ha insegnato moltissimo. Cantù è un amore di mamma, quello che senti quando muovi i primi passi e mamma ti prende per mano. Cantù è come se mi avesse messo al mondo cestisticamente e dà lì è iniziato il percorso che mi ha portato a indossare tutte le maglie azzurre da quelle giovanili a quella maggiore.

E Udine?

È stata la chance dopo alcuni anni di travaglio durante i quali mi ero rotto due volte il ginocchio e avuto guai alla trachea. Lì ho vissuto anni straordinari anche sotto il profilo umano. Devo ringraziare coach Cesare Pancotto che mi ha voluto con lui in Friuli. Ai tempi la proprietà era della Snaidero, una famiglia davvero eccezionale. Confesso di essermi sentito a casa al punto anche di pensare di fermarmi a vivere lì.

Quali differenze ravvisa tra una piazza e l’altra?

Cantù è una delle regine d’Europa, ma è inutile stare ora a parlare di questo. Deve capire e accettare il fatto che tornare al piano di sopra è molto difficile e non viene garantito per diritto divino. Se il pubblico riesce a sostenere la squadra in maniera sana come sanno fare i canturini, cercando di circoscrivere al minimo le polemiche e di incoraggiare il più possibile i ragazzi, tollerando gli errori che fatalmente posso essere commessi dagli stessi, allora è meno complicato. Nelle “piazze” con più storia, come appunto quella brianzola, è sempre più difficoltoso riuscire a farlo. Deve esserci, insomma, un amore incondizionato.

E Udine?

Ha una proprietà molto esigente e una piazza che però comprende di più le difficoltà che ci sono nel tentare la scalata. C’è la speranza di andare su, anzi è pure un obiettivo dichiarato, ma se poi non si verifica non si vive lo stesso dramma di altrove. Lo stato d’animo che si crea attorno alla squadra è dunque completamente diverso.

Che pronostico si sente di fare sulle altre semifinali?

Partirei da Fortitudo-Rieti. Io ho avuto Attilio Caja e lo definisco uno scienziato di questo sport. Può o meno piacere a livello caratteriale, però è un allenatore che riesce sempre a fare grandissime cose. Qui vedo avvantaggiata Bologna.

Trapani-Verona?

Si incontrano una realtà storica come Verona, allenata da un tecnico esperto di promozioni nonché ottima persona come Ramagli e l’armata che ha speso di più e che già sta progettando la prossima serie A. Tutto farebbe dire Trapani, però non la darei così scontata come potrebbe apparire.

Forlì-Trieste?

Un’incognita. Forlì ha una piazza che spinge e da diversi anni non frequenta più il massimo campionato, mentre Trieste è retrocessa l’anno scorso e non è contentissima di ritrovarsi in A2. Probabilmente è la sfida più indecifrabile.

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