Parrillo: «La finale di Coppa?
L’avrei giocata anche a pezzi»

L’idolo della tifoseria di Cantù torna sulla magnifica esperienza di Firenze

Salvatore Parrillo, un nome una garanzia. Nonché un idolo della tifoseria canturina, per la quale “Sasà” non si discute proprio. Si prende e si ama perché incarna lo spirito più profondo di chi lavora sodo senza risparmiarsi mai. Dando tutta per la causa. Ovvero, per Cantù.

Un esempio per tutti, in particolare - ovviamente - per i compagni di squadra. Giù la testa e pedalare. Anzi, ora su la testa e raccontare. Di sé, della squadra, della Coppa Italia, di tutto quanto. E allora in carrozza. Si parte per il viaggio in compagnia di Sasà.

Negli occhi e nel cuore abbiamo ancora la stoica Cantù di Firenze. A menta fredda, cosa vi ha

lasciato la Final Eight?

La consapevolezza di essere una grande squadra. Giocando come abbiamo fatto abbiamo

dimostrato di poter giocarcela con tutte e di poter essere veramente una buonissima squadra.

Resta l’amaro in bocca perché perdere così fa sicuramente male. Però c’è anche la

convinzione di aver disputato una grande coppa e di aver dato il 100%. E questo, secondo

me, è l’aspetto ancor più importante.

Sodini ha dichiarato che non vi sareste retti in piedi in finale, rischiando così - qualora foste

arrivati - di offuscare la bella immagine che invece avete lasciato. È d’accordo?

Condivido ciò che ha detto il coach perché obiettivamente abbiamo concluso la partita di

semifinale con la maggior parte di noi decisamente acciaccati. Ci sarebbe stato dunque il

rischio il giorno dopo di incorrere in una figuraccia. Però io la finale l’avrei giocata anche se

ormai a livello fisico non avevamo più nulla da dare. Ma a livello caratteriale avremmo potuto

dare veramente tanto. E comunque giocare la finale sarebbe stato un premio che definirei

anche meritato.

La lunga intervista integrale su La Provincia in edicola giovedì 22 febbraio 2018.

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