Iovine: «Il bravo di Cesc e una certezza: ne usciremo»

Intervista Forse il mese senza allenatore è stato più decisivo in questo senso di quanto noi percepissimo

Alessio Iovine domenica è stato il migliore in campo. Tornato titolare, per la seconda domenica consecutiva, interpreta il suo ruolo di “ragazzo di casa” con la solita dedizione alla causa, la solita grinta, la solita passione. E un particolare se vogliamo curioso: domenica è stato preferito a Fabregas, roba da raccontarlo ai nipotini. «Non scherziamo per favore...», ride.

Beh, sono i fatti: ci aspettavamo Fabregas play con Bellemo e Arrigoni, ha giocato Bellemo play con Arrigoni e te...

Beh, messa così sembra quasi vera... (ride ancora, ndr).

Va beh, allora parliamo della tua posizione in campo. Longo appena arrivato di ha visto interno del centrocampo a tre.

Vero. Mi ricordo quando mi chiamò, dopo pochi giorni. “Ti proverò lì”, mi disse.

E come è andata?

Volete la verità? All’inizio non ero tanto convinto, temevo non fossi adatto. Invece la cosa funziona, mi sono applicato. Certo che il mister ha mostrato di conoscerci tutti bene.

Per te una novità.

Sì, assoluta. Io ho sempre giocato esterno, un po’ più avanti nella Giana, un po’ più indietro con Banchini e Gattuso.

Domenica sei stato il migliore in campo.

Ah, questo non lo so. Lo dovete dire voi...

Infatti siamo qui a dirlo. Rigore conquistato, grande intensità.

Infatti ho chiuso con in crampi. Rispetto ad Arrigoni avevo compiti un po’ diversi. Poi ho finito da esterno dei cinque.

Longo chiede agli interni di aggredire gli spazi. Vero?

Il mister è molto preciso nel chiedere cosa fare. E comunque quando andiamo sù, chiede di occupare l’area.

Infatti il rigore è venuto da un tuo inserimento.

Vero, nulla capita per caso.

Fai parte della cosiddetta vecchia guardia. Giocatori che nelle previsioni estive avrebbero dovuto giocare di meno.

Io non la metterei in questo senso. Ok, chi è qui da un po’ di anni ha un trascorso insieme. Ma si rischia di immaginare un gruppo diviso tra vecchi e nuovi. Non è così, anzi chi è arrivato mi ha colpito per disponibilità.

Tra le difficoltà, si pensava anche a questo: amalgama difficile.

Nulla di tutto questo. Davvero.

Allora cosa è successo? Perché il Como è caduto in basso?

Forse il mese senza allenatore è stato più decisivo in questo senso di quanto noi percepissimo. Nessuno ha pensato mai di mollare. Ma forse inconsciamente qualcosa è sfuggito. Con Guidetti e Bircham abbiamo dato il massimo. Eppure... E poi tenete conto che non si trattava di un esonero di un allenatore, ma di un’incertezza che ci avvolgeva ogni giorno: non si capiva mai cosa sarebbe successo.

Il Como ne sta venendo fuori?

Vorrei stare lontano dai luoghi comuni. Siamo felici dei tre risultati utili consecutivi, eppure domenica la classifica è peggiorata. Per dire che la strada è lunga. Però io sono fiducioso. Primo, perché dopo un mese di lavoro intenso, la squadra adesso ha ritrovato una certa brillantezza. Secondo, perché secondo me qui nessuno sa dire davvero chi lotterà per andare in A, chi per i playoff, chi per non retrocedere. Siamo a cinque partite dalla fine dell’andata e nessuno ci ha ancora capito molto. Questo vuol dire che è ancora tutto molto aperto. E tutto sommato la situazione mi stimola.

La gente è con voi. A Genova erano in mille.

Ecco, qui devo dire una cosa. Genoa-Como è stato il momento più bello della mia carriera. Mi ricordo da bambino quando rimanevo estasiato dagli stadi pieni che vedevo in tv. Beh, ho vissuto una cosa del genere. Marassi pieno e i nostri tifosi spettacolari a reggere la sfida. Davvero è stato esaltante.

Torniamo un attimo a Fabregas. Che sensazione hai a giocare con lui?

E’ la prima cosa che mi hanno chiesto i miei amici, quando è arrivato. Beh, lavorarci è diverso che conoscerlo da tifoso. Ha molta passione, è umile, sa scherzare. All’inizio, nella chat che abbiamo, c’è chi era un po’ titubante.... Io ho rotto il ghiaccio e lui si è buttato nelle battute e negli scherzi.

Cosa ti dice?

Io sono il suo vicino di armadietto nello spogliatoio. Dà sempre consigli utili: mi ha detto di correggere una posizione del corpo, di avere una visione diversa nello sviluppo del controllo. Io ci provavo e capivo che era utile.

E domenica cosa ti ha detto?

Mi ha detto “bravo”. E io me lo sono segnato. Perché mi ricordo quando gli chiesi: “ma tu in che posizione sei arrivato nella classifica del Pallone d’Oro? E lui: “Settimo”. Capito?

Differenze tra Longo e Gattuso?

Tutti e due molto preparati, molto pignoli nel preparare le partite. La differenza più grande è che Gattuso punta molto sull’umanità, sull’essere un allenatore-genitore; Longo è più un martello sulle situazioni da migliorare. Sui video per esempio stiano facendo un lavoro nuovo, almeno per me.

Allora ne usciamo?

Io dico di sì. E spero di dedicare una vittoria a mio nonno appena scomparso. Il mio primo maestro.

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