Mister Fabregas: «il mio calcio amore e fantasia»

Intervista all’allenatore della Primavera del Como: «Non vedo l’ora, la nuova avventura ha addolcito l’addio al calcio»

Eccolo qui. Capelli un po’ più lunghi del solito, barba un po’ più lunga del solito, sorriso un po’ più luminoso del solito. Questa è la prima intervista italiana rilasciata dal Cesc Fabregas allenatore. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo: un ritiro dal calcio con la maglia del Como, l’inizio della carriera da allenatore (nella Primavera azzurra che inizia domani) con i colori del Como, doppio fatto che rimarrà nella storia di questa società. Sebbene il suo apporto da calciatore sia stato meno determinante di quanto lui si aspettasse. Ma è acqua (già) passata: lo vedi dal sorriso convinto, dallo sguardo che trasuda passione, dall’atteggiamento rilassato. Ora c’è mister Fabregas. Parte l’avventura.

Buongiorno Fabregas. Come si sente?

Bene. Molto bene. Sono eccitato dall’inizio di questa avventura, della mia nuova vita.

Quando ha deciso di ritirarsi?

È successo in un momento preciso. Mi pare fosse Como-Ternana. Quel giorno non mi sono sentito bene con me stesso, non avevo le sensazioni giuste.

Tutto in un attimo?

Ovviamente no. Era da marzo che non mi sentivo benissimo, che ero un po’ insoddisfatto, che mi mancava qualcosa. Ma la svolta è stata a Como-Ternana.

E allora?

La prima cosa che ho fatto è stato dirlo alla mia famiglia. Poi alla società: sarei andato a Cittadella, per l’ultima partita, poi basta. Finito.

L’ultima partita.

Sì, di quella sera ricordo il discorso che ho fatto alla squadra, in cui ringraziavo tutti per l’aiuto e l’accoglienza. Ho avuto dei compagni fantastici.

È stata dura?

(per un attimo c’è un ombra sul suo sorriso, rotea gli occhi guardandosi in giro, forse per cacciare la commozione, ndr) ... Sì, è stata dura. Ma è passata subito. Perché avevo già un obiettivo. Un’idea in testa. Questo mi ha aiutato molto a guardare avanti e non indietro.

Due sabati fa il saluto alla gente, al Sinigaglia.

Non ne sapevo nulla, è stata una idea della società, che ringrazio. Me lo hanno detto due giorni prima. È stato bello. La gente di Como mi ha sempre trattato con entusiasmo. Davvero. Ringrazio tutti. Quando incontravo la gente per la strada solo parole di incoraggiamento.

Prima di parlare della sua vita da allenatore, ci consenta di chiederle i migliori momenti nel Como.

(si guarda di nuovo in giro, scegliendo nella galleria di immagini dentro la sua testa, ndr) Direi il mio arrivo, innanzitutto. Non mi aspettavo che qualcuno venisse allo stadio ad accogliermi. È stato sorprendente e anche emozionante. Bello. Poi il mio debutto a Como-Brescia. Quando mi sono alzato dalla panchina ho sentito un fremito in tribuna, una specie di piccolo boato. Mi ha colpito. E poi posso dire Como-Parma, forse la partita che mi è piaciuta di più, dove avevo giocato bene, era una partita importante per il Como, per la gente, c’era Buffon... Se devo ricordare una partita, dico quella.

E ricordi brutti?

Non ne ho. Davvero. Penso a Como-Ternana, perché quella sensazione non è stata piacevole.

Noi abbiamo capito che avrebbe fatto l’allenatore da un particolare.

Quale?

Dopo l’ultima partita a Cittadella lei ha postato l’immagine di un computer e di fogli dove si segnano gli schemi...

(ride, ndr) Beh, si, ero gia focalizzato.

E poi in Usa. Le immagini mostravano un Fabregas allenatore del Como che era andato in tournee, attento, concentrato, determinato, addirittura più di quanto la situazione “giocosa” avrebbe preteso...

Quella è stata una esperienza formativa per me. Ok, era calcio a sette, tecnicamente era particolare. E poi non potevo mica chiedere a Gabrielloni, a Cutrone o a Odenthal di spremersi, era fine stagione, le energie erano quelle che erano. Però è stato bello stare col gruppo, gestire un gruppo, trasmettere qualcosa a livello di approccio e determinazione.

Adesso l’avventura inizia dal Como Primavera. Si dice che il compito di un allenatore del settore giovanile sia più formare nuovi giocatori che vincere le partite...

Sicuramente il compito è diverso rispetto a un allenatore di una prima squadra. Però io sono uno che non ama perdere nemmeno quando gioco con mio figlio. Si va in campo sempre per vincere.

Che allenatore sarà Fabregas?

Mah... devo ancora imparare, cominciare. La mia idea di calcio è quella di esterni aggressivi, tanto palleggio e circolazione della palla in mezzo, costruzione dal basso, un calcio dominante, che vada in avanti... Ma parlo per l’esperienza che ho maturato da calciatore. Poi si vedrà.

Appunto. Quale esperienza le ha dato più spunti, per la sua visione da allenatore?

Difficile dirlo. Anche perché ho giocato in ruoli molto diversi: ho fatto il trequartista, ho fatto l’attaccante, poi sono tornato indietro. Esperienze diverse. E poi nel Barcellona c’era Messi e come fai a non considerare quella variabile impazzita? Difficile.

Ok, ma guardando quelle squadre da fuori, ce n’è una nella quale si riconosce come allenatore?

Forse la Spagna del 2008 e del 2012 è stata quella che mi è rimasta più impressa.

Lei si immagina cosa può pensare un ragazzo di 17-18 anni che si ritrova Fabregas allenatore?

(ride di nuovo, ndr) No, non ho idea. Spero siano felici. Quello che posso dire è che ho trovato una dedizione, una disponibilità all’ascolto assolute. Un bel gruppo con il quale voglio divertirmi.

Cosa non sopporta?

Non sopporto chi non ha disciplina e chi non dà tutto per la causa.

Qualcuno dei suoi ragazzi qualche volta andrà nel giro della prima squadra e lei dovrà cambiare scelte.

Già successo, devi improvvisare. Ma aiuta nel bagaglio. E poi spero che i ragazzi che dovessero lavorare con la prima squadra imparino qualcosa. Può essere un vantaggio. Io spingo molto sull’attenzione in campo, sulla furbizia di capire le mosse del compagno e dell’avversario. Tante volte si dà la colpa al compagno ma magari sei tu che non hai capito la giocata.

Ha già in mente gli step successivi della sua carriera?

Ma va... È tutto successo così in fretta... No, davvero. E poi vi dico una cosa: nella mia carriera tutte le volte che ho pensato “adesso succederà questo, adesso succederà quello”, poi è successo il contrario. Dunque ho imparato che inutile sprecare energie immaginandosi cosa potrà essere. Vedremo cosa succederà

Il sogno è allenare una prima squadra.

Il sogno è ottenere sempre il massimo.

Continuerà ad abitare a Lugano?

Sì, ormai i figli vanno a scuola lì.

Cosa pensa della prima squadra del Como?

Mah, mi sembra una buona squadra. Penso possa fare molto bene di sicuro.

Lei inizia questa avventura con lo stemma del Como sul petto: ci sembra molto integrato nel progetto.

Sono venuto qui per il progetto. Non per fare gli ultimi due anni da giocatore. Questa società interpreta la maniera di fare calcio che ho io, mi piace che si parli di valori e che si cerchi una integrazione con la comunità. Sì, mi piace iniziare qui.

Buon lavoro

Grazie.

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