Como calcio / Como città
Mercoledì 01 Luglio 2020
Nappi, sei mesi a Como
e le galline di Lulù
Sette presenze e un gol. Poca roba per meritare un’intervista? Gli intrecci con Como sono tanti, da Oliveira a Borgonovo, da Braglia a Ninni Corda
Ci sono figure nel calcio che vanno al di là di quello che hanno vinto. Gente che ha lasciato un segno. Marco Nappi è uno di questi. Non basta essere stato l’idolo della curva Nord di Genova rossoblù per inserirlo tra i grandi. Ma la sua simpatia, la sua esplosività da folletto irriducibile, il suo dare tutto nel gruppo ha lasciato buoni ricordi in tutti gli spogliatoi dove è stato. Poi, certo: la foca. Il suo soprannome per via di quella volta che uscì con la palla rimbalzante sulla testa da una situazione complicata nella propria area. Nappi è passato anche da Como. Sei mesi e una promozione in A. Sette presenze e un gol. Poca roba per meritare un’intervista? Assolutamente no. Perché gli intrecci con Como sono tanti, da Oliveira a Borgonovo, da Braglia a Ninni Corda. E poi lui è simpatico. E quattro chiacchiere con Nippo Nappi (come lo chiamava la Gialappa’s) sono sempre piacevoli.
Sei mesi a Como, e una promozione in serie A. Abbastanza per inserire questa esperienza nella galleria dei ricordi?
«Assolutamente sì. Una bella esperienza. Venni con degli amici come Gallo e Dundjerski. Era un gruppo favoloso, con gente con la testa sulle spalle. Spinelli, per dire, guardate dove è arrivato... Uno dei più grandi preparatori al mondo. E poi Pedone, Colacone, Stellini. Brunner».
Sette presenze e un gol, alla Sampdoria. Si disse: l’ha fatto da genoano.
«Vero. Io sono uno che vive di emozioni. Per me festeggiare la serie A con il Como nello stadio Marassi, dove avevo giocato tante partite, è stata una bella emozione. Poi da genoano un gol alla Samp lo segni sempre volentieri (ride, ndr). Era il 90’, li ho spaventati».
Albergo di Terni, la sera dopo la partita finita 0-0. Nella hall, un manipolo di azzurri con ancora l’adrenalina addosso non ha voglia di andare a dormire. E Nappi che fa uno show. Racconti, aneddoti, poi uno lancia un’arancia e via con una mezza rovesciata che per poco non fa venir giù un quadro...
«Ah, se è per quello, una volta nel Brescia mi tirarono un panettone e io feci la mezza rovesciata, solo che esplose in mille pezzi... sai le risate. Mi ricordo anche la sera dei gavettoni, col Como, nell’albergo di Nola prima dell’ultima giornata a Napoli. Eh, bei tempi. Non per me, intendo, ma per il calcio. Quando ancora si scherzava, due risate non facevano male a nessuno. Ma li vedi quelli di oggi? Mi paiono dei robot! Ma dove vanno...?»
Come è nato il soprannome della foca?
«Werder Brema-Fiorentina: palla in difesa, loro pressavano, e io uscii dall’area con la palla sulla testa come una foca. Dissero: numero da circo. E io dico: no. Gesto tecnico studiato. In effetti se fai così possono solo farti fallo...
Tornando al Como. C’è una amicizia con Lulù Oliveira».
Come è nata?
«È nata a Como. Perché se metti accanto due persone come noi, solari, che non invidiano nessuno, che vogliono fare gruppo, è normale trovare l’intesa. Poi se capita una roba come sul volo per Cagliari..».
Cioè?
«C’era la trasferta Cagliari-Como. Lulù arriva con due galline. “Ma cosa fai?”. Doveva portarle da Como alla sua tenuta di Muravera. Però non era un viaggio di vacanza. Era una trasferta con tutti in abito ufficiale della società. Tra l’altro una trasferta decisiva per la scalata alla A (vincemmo 1-0 con gol proprio di Lulù). Immaginatevi voi questa comitiva con le due galline nel corridoio dell’aereo. Roba da film. Lulù l’ho appena rivisto. Siamo andati a Malta ospiti del locale Viola Club per una partita tra vecchie glorie. Io ho fatto un assist a lui e lui ha fatto un assist a me. Quando rivedi certi compagni, sembra di averli lasciati la sera prima».
Un altro amico era Borgonovo.
«Un altro che non se la tirava, che faceva gruppo, amava gli scherzi. A Firenze diventammo subito amici. Ricordo che fui ospite alla partita che organizzarono per lui a Firenze. E lì, un po’ per scherzo un po’ sul serio, gli dissi: “Ora una partita te la organizzo anche io a Genova”. Pensavano tutti che scherzassi. Cosa volete che faccia Nappi... e invece».
E invece?
«Abbiamo portato 25mila persone a Marassi. Abbiamo raccolto più di 200mila euro, presentò Simona Ventura che non volle un soldo. Ma non vi dico i sei mesi che ho passato. Andavo io a contattare le autorità per i permessi, ero terrorizzato che qualcuno pensasse che volevo guadagnarci, così misi in pista la Lottomatica per occuparsi dei biglietti in modo trasparente. Non ci dormivo la notte. Tutto per quel ragazzo d’oro di Stefano. E anche per ricordare Signorini, un mio fratello morto della stessa malattia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA