Calcio / Cantù - Mariano
Giovedì 28 Maggio 2020
Fumagalli: «Da Smith ad Hayes
Il quintetto dei miei 3 anni a Cantù»
L’intervista al team manager dell’Acqua San Bernardo Cinelandia
Il graffio del Puma. Uno di quelli che, probabilmente approfittando dei vuoti da lockdown, s’è impossessato degli angoli della città. E non solo metaforicamente, visto il lavoro di sistemazione post partenza dei giocatori della Pallacanestro Cantù.
Diego “Puma” Fumagalli, team manager biancoceleste, ma una stagione normale lei l’ha mai vissuta qui?
Normale direi di noi, viste anche le prime due. Diciamo che quanto meno questa, per assurdo, è stata la più ordinaria. Adesso non mi resta che aspettare.
Aspettare cosa, ci scusi?
La fine della prossima. Sarà una sorta di prova del nove. Dovesse riservare qualche altra sorpresa, ci sarebbe seriamente da pensare a un viaggio a Lourdes o Medjugorje. Oppure, persistesse il divieto di andare all’estero, farò Loreto.
Quindi con la testa è già proiettato in avanti?
Diciamo che sono molto intrigato da quello che verrà. Questa, proprio per la sua tranquillità, è stata la stagione giusta per riassettare tutto, quasi di scarico. Dalla prossima, invece, mi aspetto molto da me stesso.
Si spieghi.
Avrò pretese personali e professionali, come è logico che sia. Non esisterà più riposo, non voglio averlo. Per sfruttare tutto quello che continueranno a insegnarmi Daniele (Della Fiori, ndr), Luca (Rossini, ndr) e Cesare (Pancotto, ndr), facendo tesoro ed esperienza di ogni piccola cosa che ne uscirà. I miei primi due anni sono stati un po’ così, questo invece di sereno assestamento e il prossimo dovrà essere quello buono per raccogliere nuove soddisfazioni.
Si sente maturato?
Arricchito. Conscio di non aver dato ancora l’accelerata giusta e convinto ci sia ancora tanto da lavorare.
Che panorama è quello dei team manager in Italia?
Persone molto disponibili, sia quelli che conosco meglio sia quelli con cui non ho ancora confidenza. Gente brava e preparata. La mia ambizione è quella di potermi sedere, a quel tavolo.
Un incarico formativo, dunque.
Ancora di più quest’anno, visto che ho avuto la fortuna di avere due feedback a portata di ufficio, ovvero Daniele Della Fiori e Luca Rossini, che da questo ruolo ci sono passati. Ci si siamo scambiati opinioni, con loro e i colleghi. Senza falsa modestia, mi sento ancora rookie in questo mondo, ma con tanta voglia di starci e pronto a metterci ancora più convinzione.
Tre stagioni pancia a terra e quanti allenatori?
Contiamoli insieme: Bolshakov, Sodini, Pashutin, Brienza e Pancotto. Cinque. E questa sarà la prima volta che confermerò la compagnia del coach. Ecco la novità assoluta. Sarò dunque avvantaggiato rispetto agli anni passati.
Normalità e continuità non fanno mai male...
Anche perché lo straordinario di questa stagione non è stato per “colpa nostra”. Possiamo dirlo?
Eccome.
Si trattava dell’anno zero per tutti noi, e a ogni livello. Era la nuova stagione nel vero senso della parola, già straordinaria a modo suo all’inizio e fuori dall’ordinario per la sua conclusione e forzata.
Quando ha cominciato a capite che non avreste più ripreso?
Con i numeri della pandemia che c’erano, direi già a metà marzo, alla seconda o terza settimana di stop. Poi ho capito che non saremmo più andati avanti quando il Cio ha deciso di spostare le Olimpiadi.
Lei che è stato a loro più vicino di tutti, come ha vissuto la squadra quei giorni?
Onestamente sono stato molto chiaro, e per scelta, da subito. Ho detto loro che ci sarei stato, per qualsiasi richiesta, ma allo stesso tempo ho scelto di non mettere pressione e ulteriore angoscia. Possono dire che tutti hanno adottato comportamenti responsabili fin da subito. Un bel segnale.
È stata questa la squadra di più bravi ragazzi delle sue tre?
Per certi versi sì. Erano in tanti i giovani e forse meno sgamati. Ma aiutare è stato l’ambiente tutto attorno e quella normalità a cui facevo riferimento all’inizio.
Roba idilliaca, quindi.
Un ambiente squisito, questo si può tranquillamente dire.Un gruppo coeso, nel quale i più anziani hanno svolto al meglio il ruolo di chioccia. Prendete uno come Wilson, bravissimo a parlare e ad ascoltare, specie coloro che in Europa c’erano per la prima volta. E poi l’ottima intesa tra il gruppo degli italiani e quello degli americani, compresi gli sfottò sul cibo. Da una e dell’altra parte.
Se definiamo il suo ruolo quello del “confidente” o del “cuscinetto” tra squadra e coach siamo lontani dalla realtà?
Spesso succede, perché negarlo? Quando posso, cerco di farmi veicolo delle istanze dei giocatori. Ci sono situazioni nelle quali tutto resta tra me e loro, altre in cui faccio da filtro. Il che vuol dire, nel rispetto dei ruoli, inviare in toto o in parte i messaggi arrivati. Un ruolo che quest’anno ho vissuto bene.
Quanto ha aiutato, oltre al clima di normalità, la figura di Pancotto?
È stata fondamentale. Soprattutto per quella sua capacità di mantenere sempre equilibrio. Dopo un successo, via a lavorare subito per cercare di vincere anche la partita successiva. Dopo una sconfitta,la ricerca immediata di una soluzione per non riperderne un’altra. Un maestro, anche nei rapporti con me e con lo staff: diretto, ma sempre rispettoso del lavoro di ognuno. S’è preso la responsabilità e ha detto la sua senza troppi giri di parole, e questa cosa lo fa molto canturino.
Eccoci alle domande delle cento pistole. Anzi, della pistola sola, ma puntata alla tempia. Il quintetto tecnico dei suoi tre anni?
Concedetemi però di fare un po’ il democristiano e di dividere equamente i giocatori per stagione, scegliendo magari anche un sesto uomo.
Concesso...
Smith il playmaker. Era quello forse arrivato con meno carisma e pedigree, invece ha lavorato fortissimo: gran giocatore. Gaines guardia: talmente decisivo che se tirava una... bestemmia segnava anvche quella. Chappell ala piccola: un competitivo pazzesco. E i due lunghi quelli di quest’anno: Burnell e Hayes, che hanno avuto un impatto importantissimo. Dalla panchina faccio invece partire Jefferson, un califfo assoluto. Contenti?
Sì, ora tocca al quintetto del cuore?
No, qui non rispondo nemmeno in presenza di roulette russa. Diciamo che non è facile per le tante atipicità incontrate. Ma proprio per questo ho voluto e voglio bene a tutti.
Allora l’allenatore...
Ma voi siete matti. Come faccio a rispondere? Diciamo che tutti e cinque mi hanno insegnato un concetto essenziale e del quale dovrò fare tesoro nel mio lavoro.
E cioè?
Non disperdere energie per fare cose al di fuori del nostro controllo. E quello che più incarna questo credo è Marco Sodini. Basta ascoltare le sue dichiarazioni per accorgersi e convincersi: ne ha fatto una sorta di mantra.
In definitiva, soddisfatto del Diego Fumagalli team manager di Cantù?
Soddisfatto di quel che ho passato quest’anno. Grazie anche all’aiuto di Della Fiori e Rossini, ma pure di vecchie conoscenze tornate nell’ambiente come Andrea Lanzi e Marco Camagni. A me viene sempre più voglia di avere la tessera soci e di dimostrare di poterci stare seduto a questo e a quel famoso tavolo. E mi viene ancora in mente il discorso fatto con il presidente Marson e i riferimenti al numero 17: un altro di quei momenti che mi rimarranno di questa stagione.
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