Molteni: «Che anni alla Lario
Uno spasso con soci e campioni»

I 130 anni della gloriosa società comasca, parla chi è stato presidente per 24

Voce del verbo fare. E di cose, di sicuro, deve averne fatte, se per 24 anni è stato presidente della Canottieri Lario, che di anni, invece, ne ha appena compiuti 130. Tra Enzo Molteni e il club di viale Puecher il legame è indissolubile. Inciso sulla pelle e un battito, forse anche due, in più - quelli che non devono far allarmare il cardiologo - nel cuore. Parli della Lario al presidentissimo, e ben presto capisci l’effetto che fa: la voce è spesso rotta dell’emozione e i ricordi si rincorrono, uno dopo l’altro. Decine, centinaia, migliaia. Abbiamo provato a metterli insieme.

Cos’è la Canottieri Lario per Molteni?

Cinquant’anni di vita. Un turbinio di ricordi, emozioni, facce, dolori e gioie. Alla Lario ho cercato di dare il meglio, passione e attaccamento. E sono stato ricompensato.

Come è arrivato lì?

In un modo strano. Il mio sport era l’alpinismo, fatto anche a livello importante. Figlio di un alpino, fondatore della sezione Cai di Monte Olimpino e a mia volta alpino. Poi un giorno, nel 1973, incontrai l’allora vice presidente Arnaldo Ratti che mi disse: “Perché non vieni alla Lario?”. E sono ancora qui.

Che inizio è stato?

Amore a prima vista e subito grande feeling con tutto l’ambiente. Poi la trafila delle gare amatoriali, fino a una remata che non dimenticherò mai: dalla sede al Lago di Mezzola. Otto ore, un’abbuffata clamorosa e altre otto ore di ritorno all’indomani, con Romeo Cantoni, notissimo farmacista in città, al timone. Impresa che non dimenticherò mai, con due jole e amici molto bene allenati.

E quindi la vogata fino alla presidenza...

Ho trascorso parecchi anni da consigliere, nei quali ho imparato il meglio da presidenti come Giampiero Maiocchi, Carlo Noseda e Floriano Terraneo. Quando è stato il mio momento, mi ricordo ancora il titolo de La Provincia (“Lario, l’ora della rivoluzione”) che aveva creato non poche perplessità. Ma io, ovviamente, intendevo quel che di nuovo avrei voluto metterci, sempre però nel rispetto delle nostre radici. Dai predecessori, dai soci e da tutti avevo già imparato ad amare il lago, la nostra palestra naturale, la Lario, la sua storia e i suoi risultati.

Di certo il primo consiglio fu innovativo.

Venticinque anni di media, un mix tra ex vogatori giovani ed esperti, vecchi soci, un tesoriere che ha fatto sempre le cose per bene tanto da diventare poi direttore del Centro Remiero di Pusiano e presidente lombardo della Federazione (Fabrizio Quaglino) e alle relazioni esterne un certo Daniele Brunati, poi protagonista nella vita della città con i suoi Amici di Como.

Come ha gestito la convivenza con tutte le anime? In un club non sempre i soci vanno d’accordo con gli atleti...

Molto facile, perché forse sarò di parte, ma chi si dedica al canottaggio ha una marcia in più. Abituato al sacrificio, alla dedizione, alla forza di volontà e al lavoro di squadra.

E lei, da inguaribile romantico, ci sarà cascato mani e piedi...

Sono uno che si affeziona. E così è stato in tutta la mia presidenza. Non c’è un socio, un tesserato o un atleta di cui non mi ricordi chi fosse e quel che ha fatto. Perdonatemi il luogo comune, ma lo sport è una scuola di vita. E di qui è passata gente che non solo si è affermata nello sport: avvocati, medici, primari, ingegneri e stimatissimi professionisti. Ho ancora tanti contatti, ci si sente spesso, ma la cosa che più mi inorgoglisce è che loro stessi non si siano mai persi di vista.

La sua è stata una presidenza in prima linea: sempre sui campi di gara e con un look impeccabile.

Ho seguito i miei atleti in tutto il mondo, con il chiaro obiettivo di far sentire la vicinanza mia e della società. Troppa la voglia di condividere sacrifici, emozioni e risultato. Ma più che il mio, il vetro stile era ed è quello della Lario, che si distingue ovunque. Ai miei tempi grazie anche al lavoro di un ds preparato e puntiglioso come Ruggero Capurso.

E di successi ne ha collezionati a iosa...

Non fatemi però fare nomi, perché non vorrei dimenticare nessuno...

Eh, no: qualche eccezione le tocca.

Allora diciamo la qualificazione di una barca completamente societaria alle Olimpiadi di Londra: il due senza di Claudia Wurzel e Sara Bertolasi, su un armo con regata di punta, equilibrio, armonia e sintonia. Erano fatte una per l’altra e io volli fortissimamente Sara, perché era colei che avrebbe fatto fare il salto definitivo di qualità a Claudia.

Vogliamo dimenticarci di tale Daniele Gilardoni da Bellagio?

Come si fa? Venne da noi dopo il suo primo titolo mondiale sul quattro di coppia a casa. Ne vinse nove consecutivi, poi andò a prendersene un altro per entrare nella storia alla Canottieri Milano. Il “Gila” è un caro amico, testimone delle mie seconde nozze. La Lario dovrà sempre essergli riconoscente, perché se ancora adesso le palestre sociali sono piene, gran parte del merito va ascritto a quel che di grande ha fatto lui.

Uno dei suoi colpi più belli?

Direi di sì. Ma penso anche ai gemelli Gerosa, che poi hanno avuto un terzo fratello pure lui campione del mondo, e a tutto il gruppo maschile di quegli anni. Li ho tutti nel cuore.

Ma per le donne, non ce ne voglia la sua signora, ha sempre avuto una passione speciale...

Come poteva essere altrimenti, sennò? Grazie alla nostra valanga rosa. Claudia e Sara, già citate, per passare da Sabrina Noseda e tante tante altre fino ad arrivare ad Aisha Rocek, che si è già guadagnata l’Olimpiade prossima. Stefano Fraquelli è stato l’artefice di questo miracolo, tanto bravo da essere ora il responsabile della Nazionale. E mi ricordo ancora quando addobbammo di rosa tutta la sala delle feste, con ogni che mostrava, sempre in rosa, cravatta e pochette, ovviamente sapete bene di che provenienza (Molteni è imprenditore del tessile, ndr).

Centotrent’anni: cosa significa?

Significa essere entrati nella storia, aver superato tutte le burrasche, i cambi di atleti e di allenatori. Ma anche una società che ha sempre saputo stare sulla cresta delll’onda e rilanciarsi, grazie anche a una generazione di tecnici che ci invidiava tutta Italia: Fraquelli, Donegana, Rocek, Noseda. Gente di altissimo profilo, non solo allenatori, ma anche veri e propri psicologi, il nostro fiore all’occhiello.

Con lei abile a far da regista, anche nelle pubbliche relazioni...

Diciamo che non era difficile tenere alta la nomea della Lario. Ma siamo stati bravi a entrare in tutti i tessuti, sportivi, cittadini e sociali. Così come a intrattenere ottimi rapporti con la Federazione, le istituzione e la stampa. Prendete l’ente Provincia, ancora oggi devo ringraziare Tiziana Sala, Simona Saladini e Achille Mojoli per il sostegno e la vicinanza.

Rifarebbe tutto e c’è qualcosa che vorrebbe cancellare?

Perché? Penso di aver fatto tutte le scelte per il bene della società. Ho tanta nostalgia di questi 50 anni di militanza. Errori ne ho commessi, ovviamente. Tipo la polemica, di cui mi pento e chiedo anche ora pubblicamente scusa, con l’ultimo consiglio. L’amore per la Lario, il bene per i ragazzi e il rispetto per chi sta lavorando così bene ora, mi ha fatto poi dimenticare tutto. E Leonardo Bernasconi sa che gli sono vicino e sempre a disposizione, anche per queste celebrazioni. A questa squadra, tra l’altro, devo dare il grande merito di avere centrato a livello sportivo anche quello che ci mancava, e cioè un’Olimpiade giovanile e il primo posto al Festival dei Giovani. Ora nella nostra bacheca non manca più nulla.

Cosa la rende orgoglioso?

La sezione paralimpica inaugurata nel 2007 con Christian Beretta. Quello che ho avuto da diversamente abili è una gioia impagabile. In mezzo a loro mi sono sempre dimenticato di tutto, anche dei dolori personali. L’affetto che ti dimostra un atleta con sindrome di down o autistico è immenso. E che soddisfazioni con Luca Varesano.

E quella storia di Bobby Solo?

Tutta da raccontare. Negli Anni 80/90 c’era certamente un’altra aria e uni spirito goliardico incredibile. Noi avevamo un socio che si divertiva a disegnare caricature non certo benevole che poi venivano esposte al pubblico (nel vero senso della parola) ludibrio. E anche il presidente non ha potuto sottrarsi allo sfottò, cavalcando una mia ipotetica forte somiglianza con il famoso cantante rock.

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