Cerutti e la Dakar in auto
«Strano ma bello»

«A tre mesi dalla corsa si è ritirato uno sponsor importante che avrebbe coperto tutta la trasferta in moto. Allora ho colto una chance»

Ma cosa ci faceva Jacopo Cerutti su un ragno metallico a quattro ruote, copilota di una ragazza saudita nella sua Dakar più strana? Perché non stiamo parlando di un pilota di moto amatore, che in passato ha fatto la Dakar per scommessa, ma del migliore pilota italiano di enduro e motorally, uno che ha rasentato team ufficiali, e che ha terminato in passato nella top twenty della maratona motoristica più dura al mondo. Ok, la bella occasione anche mediatica, la chance di fare qualcosa di diverso, ma non deve essere stato un passo facile. E così glielo abbiamo chiesto al suo ritorno, nella solita chiacchierata dopo la Dakar, questa volta diversa dalle altre.

Scusa Jacopo, ma cosa ci facevi su una specie si quad potentissimo a fare il navigatore?

Navigavo... Una bella opportunità per vivere la Dakar in maniera un po’ diversa. Mi hanno cercato, e alla fine lo abbiamo fatto.

Ok, ma non deve essere stato semplice. Sei un pilota che va fortissimo con le moto e ha sempre detto che la Dakar era l’appuntamento più importante della tua stagione... Cosa è successo?

In effetti qualcosa è successo. A tre mesi dalla corsa si è ritirato uno sponsor importante che avrebbe coperto tutta la trasferta. Si trattava di mettersi di nuovo a caccia di sponsor. Non c’era molto tempo, e quella è sempre stata una attività che richiede stress e tensione. Mi avrebbe tolto energie alla mia preparazione tecnica, fisica ma soprattutto mentale per la corsa. Alla fine ho rinunciato.

Deve essere stata dura.

La Dakar è una corsa pazzesca, farla in moto ancora di più. O hai una serenità e una motivazione al 110% oppure diventa una sofferenza. E poi diciamolo chiaro: il prossimo step per me sarebbe la top 10, ma per provarci devi avere tutto a posto dal punto di vista del supporto. Ma io a tre mesi dal via queste certezze non le avevo più. Ho mollato il colpo. Anche perché...

Anche perché?

Anche perché avevo ricevuto una telefonata dal Team South Africa che aveva questo progetto di più mezzi, c’era un ex pilota di moto spagnolo che mi conosce bene che ora lavora per loro e che ha fatto il mio nome per le mie qualità nella navigazione. All’inizio avevo detto di no. Ma poi, perso lo sponsor, li ho chiamati e abbiamo chiuso.

Cosa vuol dire bravura nella navigazione?

La Dakar è fatta di tanti aspetti, e uno importantissimo è la navigazione. Significa avere conoscenza, intuito, ordine, meticolosità, dimestichezza con bussole e apparecchiature e capacità di gestire l’imprevisto nel riconoscere la strada in mezzo al deserto. Queste sono qualità che mi sono universalmente riconosciute. Potevo essere utile.

Come è andata?

Molto bene. E’ stata una esperienza diversa. In moto non hai il tempo nemmeno di renderti conto di dove sei, sempre adrenalina a mille, partenza all’alba con il freddo e il buio. Stavolta ho potuto anche godermi il deserto. Ci sono più tempi morti. Se fori una gomma o ti insabbi fai soste anche di mezzora. Puoi guardarti intorno.

Come è andata con la pilota saudita Mashael Alobaidan?

Lei è una specialista di queste gare, ma più brevi. Della navigazione non sapeva nulla e si è affidata completamente a me. C’è stato anche qualche momento di tensione, qualche incomprensione sulle strade da prendere, sul modo di passare le dune. Anche perché se foravamo o ci insabbiavamo, a scendere con la pala ero sempre io (ride, ndr). Ma è andato tutto bene.

Momenti da ricordare?

Soprattutto quando a un certo punto ci siamo persi di notte. Eravamo un gruppo di veicoli nel buio, incrociavamo i fari che giravano in tondo alla ricerca di una traccia, ma era tutto confuso. A un certo punto ci siamo arresi, è stata una sconfitta. Ma quella sensazione lì di buio nel deserto mi mancava, in moto arrivi sempre di giorno.

Non dirci che non ti sono mancate le moto...

Ho avuto sensazioni contrastanti. Innanzitutto questa è stata una Dakar molto di navigazione, e dunque avrei potuto far bene anche in moto. Quando arrivavano i piloti a salutarmi vedevo il mio mondo lì vicino, e mi faceva effetto. Quando però vedevo che dovevano partire all’alba al buio, vestiti a più stati per difendersi dal freddo, beh... non li ho invidiati. Mi sono goduto la comodità, per modo di dire, dell’abitacolo.

Com’è il mezzo, in Can Am Syde by syde?

Anche da navigatore senti la tenuta, hai sensazioni da pilota, anche dal punto di vista della prestazione è stata una bella esperienza.

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