Europa
Giovedì 29 Marzo 2018
Bilancio Ue post-Brexit, un rebus di difficile soluzione
Quadro finanziario pluriennale che sono chiamate a disegnare le istituzioni europee e che coprirà il periodo 2021-2027 dovrà innanzitutto tappare un buco da 10-13 miliardi di euro l'anno causato dalla Brexit.
BRUXELLES - Il Parlamento europeo è stata finora l'unica istituzione ad aver assunto una posizione chiara e netta: l'Ue deve aumentare le risorse da destinare al prossimo bilancio pluriennale per essere in grado di affrontare le sfide che l'attendono. Il rompicapo che dovranno risolvere nei prossimi mesi Consiglio, Commissione e lo stesso Europarlamento, però, non è affatto semplice. Il Quadro finanziario pluriennale che sono chiamate a disegnare e che coprirà il periodo 2021-2027 (l'ipotesi di accorciarlo a cinque anni sembra ormai tramontata) dovrà innanzitutto tappare un buco da 10-13 miliardi di euro l'anno causato dalla Brexit. Ma anche finanziare nuove politiche europee in settori come la difesa, la gestione dei flussi migratori e la lotta cambiamenti climatici. Nonché evitare tagli alla Politica agricola comune (Pac) e a quella di coesione, che insieme valgono circa due terzi dell'intero bilancio Ue.
LA POSTA IN GIOCO - L'attuale bilancio pluriennale (2014-2020) vale circa mille miliardi di euro, pari all'1% del Reddito nazionale lordo comunitario. L'Italia, che è un "contributore netto" in quanto ogni anno versa circa 14 miliardi di euro e ne recupera direttamente 11,6, è spaventata da possibili tagli alla politica di coesione. Nel settennato in corso, attraverso i 5 fondi strutturali europei (Sviluppo regionale, Sociale, Sviluppo rurale, Marittimo e l'Iniziativa per l'occupazione giovanile) sono stati destinati alla Penisola 44,6 miliardi.
GLI SCENARI - A febbraio la Commissione europea ha presentato una serie di alternative verosimili per "stimolare la discussione" fra i leader europei. Alcuni scenari prevedevano più fondi per settori come la gestione delle frontiere e la difesa, a fronte di possibili tagli per tutte le politiche attuali. Uniche eccezioni per le quali si chiede un aumento della dotazione sono i programmi Erasmus+ e Horizon post-2020 su ricerca e innovazione. Per la Pac i tagli possibili sono del 15% (-3,5 mld per l'Italia) o 30% (-9,7 mld per l'Italia), mentre per la politica di coesione le sforbiciate considerate sono del 25% o 33%. Nel primo caso solo il Mezzogiorno resterebbe sotto l'ombrello dei fondi strutturali, mentre nel secondo tutta l'Italia ne risulterebbe esclusa insieme all'intero blocco dell'Europa centro-occidentale. Ma recentemente il commissario a cui fa capo il dossier, il tedesco Guenther Oettinger, ha detto che il taglio potrebbe essere limitato al 5%.
LE POSIZIONI IN CAMPO - Gli enti locali europei sono i primi oppositori dei tagli alla politica di coesione, al punto che, guidati dal Comitato europeo delle Regioni, hanno fondato un'alleanza per difenderla, raccogliendo più di 4mila adesioni. Il principale nodo da sciogliere, però, riguarda la dimensione del prossimo bilancio Ue. La Commissione ha proposto d'incrementarlo fino all'1,19% del Rnl Ue, anche mediante un nuovo sistema di tassazione comunitario. Sulla stessa linea il Parlamento Ue, che rilancia chiedendo di arrivare fino all'1,3% del Rnl. A opporsi conn decisione allo sforamento dell'1%, però, sono Paesi Bassi, Austria, Svezia, Finlandia e Danimarca. Altro terreno di scontro sono le cosiddette "condizionalità". Le regioni (compresi i lander tedeschi) sono contrarie a qualsiasi rapporto fra politiche statali e taglio dei fondi. Un appello raccolto dal Parlamento Ue, che chiede eventuali meccanismi punitivi per gli Stati ma non per i territori. La Germania vorrebbe invece rafforzare il legame già esistente fra finanziamenti e rispetto dei vincoli di bilancio, mentre altri Paesi come l'Italia spingono in favore di una nuova condizionalità legata al rispetto dello stato di diritto e della solidarietà, in primis sull'immigrazione.
LE PROSSIME TAPPE - Il 2 maggio la Commissione Ue presenterà la sua posizione ufficiale sul bilancio. Poi la palla passerà agli Stati, che devono votarlo all'unanimità previa approvazione del Parlamento Ue. Strasburgo, che come l'Esecutivo punta a concludere la procedura entro le elezioni europee del 2019, può approvare o respingere a maggioranza assoluta la posizione dei 27, ma non emendarla.
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