BRUXELLES - Grazie ai fondi di coesione, il Pil pro capite delle regioni meno sviluppate dovrebbe aumentare fino al 5% entro il 2023. Si è ridotto il divario tra il pil pro capite delle regioni meno sviluppate e quello delle regioni più sviluppate (il confronto è tra il 10% meno sviluppato e il 10% più sviluppato). Lo stima la Commissione anticipando alcuni contenuti dell'ottavo rapporto sulla Coesione diffuso oggi. I fondi di coesione sono passati dal 34% al 52% degli investimenti pubblici totali tra il periodo di programmazione 2007-2013 e 2014-2020.
Le regioni meno sviluppate dell'Europa orientale stanno recuperando terreno rispetto al resto del l'Ue, mentre quelle nell'Ue meridionale e sud-occidentale hanno sofferto di stagnazione o declino economico.
L'occupazione è in aumento, ma le disparità regionali restano maggiori rispetto a prima del 2008, viene spiegato. Il numero di persone a rischio di povertà ed esclusione sociale è comunque diminuito di 17 milioni tra il 2012 e il 2019. Il rapporto segnala anche l'impatto dell'invecchiamento della popolazione: nel 2020, il 34% della popolazione dell'Ue viveva in una regione in declino. Sarà il 51% nel 2040.
"L'ottava Relazione sulla coesione mostra chiaramente l'importanza della politica di coesione nel promuovere la convergenza e ridurre le disuguaglianze tra paesi e regioni dell'Ue - dichiara la commissaria per la Coesione Elisa Ferreira -. Grazie alla mappatura delle aree in cui gli Stati membri e le regioni devono fare di più e meglio, la relazione ci consente di imparare dagli insegnamenti del passato per essere meglio preparati alle sfide del futuro. Dobbiamo accelerare l'adozione e l'attuazione dei programmi della politica di coesione per il periodo 2021-2027 in modo da poter continuare a sostenere le regioni nella ripresa dalla pandemia, raccogliere tutti i benefici della transizione verso un'Europa verde e digitale e realizzare una crescita a lungo termine".
"Le sfide che abbiamo di fronte", le sfide esposte nel Rapporto della Commissione sulla Coesione sono "come portare tutte le regioni d'Europa attraverso la ripresa, attraverso la transizione verde e digitale, e oltre, senza lasciare alcuna regione alle spalle", ha detto Ferreira. "Per avere successo, abbiamo bisogno di un nuovo senso del luogo, di un nuovo senso di partenariato e di una discussione alimentata dai fatti", ha aggiunto.
La relazione sulla coesione fornisce i fatti e noi invitiamo la discussione. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e soprattutto al forum sulla coesione di marzo. Le nostre risposte definiranno l'Europa nei prossimi decenni". "Gli investimenti sono fondamentali", ha sottolineato Ferreira. "La politica di coesione ha svolto un ruolo chiave nella protezione degli investimenti pubblici, non solo nella pandemia, ma anche prima". "In secondo luogo, gli investimenti da soli non sono sufficienti - ha aggiunto la commissaria -: dobbiamo avere strategie di sviluppo 'basate sul luogo', definite alla giusta scala e a livello territoriale, adattate alle risorse della regione e mirate ad affrontare vecchi e nuovi fattori di disparità".
In un mondo che cambia con le opportunità dell'economia verde o del telelavoro, sono necessari "politiche e investimenti che siano attentamente adattati a ciascuna regione". "Dovremo quindi lavorare a stretto contatto con le regioni, con le città e con i cittadini per sviluppare nuovi approcci", ha sottolineato Ferreira. "Passi cruciali di questa strategia sono rafforzare il principio di partenariato, incoraggiare l'apprendimento e la sperimentazione delle politiche e cooperare tra regioni, paesi e livelli di governo per lo scambio delle migliori pratiche". Infine, ha segnalato la commissaria per la Coesione "le altre politiche europee e le politiche nazionali devono considerare il loro impatto regionale": "nessuna politica, non importa quanto ben intenzionata, non importa il suo contributo al bene comune, dovrebbe ignorare gli impatti differenziati che avrà nei diversi territori di una nazione o dell'Unione". "Tutte le politiche dovrebbero essere sottoposte a prove regionali, per garantire che rispettino il principio di non nuocere alla coesione".
Quella che emerge è una foto di un ventennio tra recessione e una crescita quasi stagnante quella delle regioni italiane. Secondo l'analisi solo la provincia di Bolzano tra il 2001 e il 2019 ha segnato una crescita media del pil pro capite dello 0,63%. Lombardia (0,17%), Emilia Romagna (0,02%) e Basilicata (0,42%) mostrano comunque un segno positivo, mentre tutte le altre hanno una decrescita del pil pro capite. I cali maggiori riguardano Umbria (-0,69%), Molise (-0,50%), Sicilia (-0,48%), Valle d'Aosta (-0,45%) e Campania (-0,41%).
L'intero sud si trova poi in una "trappola dello sviluppo": la Calabria è fanalino di coda con pil pro capite inferiore al 75% della media Ue per un periodo tra i 15 e i 19 anni, Sicilia, Sardegna Campania e Abruzzo con pil inferiore alla media Ue (tra il 75 e il 100%), ma in 'trappola' per oltre 15 anni e Basilicata e Puglia tra 75 e 100% della media del pil Ue ma per un numero di anni compreso tra 10 e 14. Le altre regioni italiane hanno un pil pro capite strabilmente (per 15-19 anni) superiore alla media europea (Valle d'Aosta, Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria e Abruzzo) per un periodo consistente (10-14 anni, Piemonte, Trentino Alto Adice, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Marche e Lazio). Sul fronte occupazione, dal Lazio e Abruzzo in giù il tasso di occupazione tra la popolazione tra i 20 e i 64 anni è ai livelli più bassi europei (inferiore al 66%), mentre Umbria, Marche, Piemonte e Liguria si attestano tra il 66 e il 70%, con il resto del Paese tra il 74 e il 78%. Per un'idea del quadro europeo, le regioni meridionali della Germania e della Svezia, ma anche una componente della Lituania viaggiano sopra l'82%.
Il rischio di trovarsi in tali 'trappole dello sviluppo' viene valutato con la crescita di pil pro capite, produttività e occupazione, in confronto a quella dello Stato membro cui appartiene la regione e alla media Ue. Risulta così che le regioni che tra il 2001 e il 2019 sono risultate in una trappola dello sviluppo sono concentrate negli Stati membri meridionali dell'Ue e in particolare in Grecia e in Italia. Sono regioni rurali o vecchie regioni industriali in Francia.
Oltre alla Calabria figurano anche altre aree della Grecia, come Analotiki Makedonia, Thraki e Iperos e Dytiki Ellada, tra quelle in difficoltà di sviluppo con un pil pro capite molto basso, che ricevono un notevole sostegno dalla politica di coesione, ma che, segnala il rapporto, a differenza della maggior parte delle altre regioni meno sviluppate del l'Ue, hanno lottato per sostenere la crescita a lungo termine, rimanendo così costantemente indietro rispetto ad altre regioni del l'Ue. Ci sono poi aree in difficoltà di sviluppo, che oltre alle regioni del Mezzogiorno italiano includono anche regioni del Portogallo, della Grecia e di Cipro, nonché diverse regioni della Francia e della Vallonia in Belgio: hanno un pil pro capite leggermente inferiore alla media (tra il 75% e il 100% della media Ue nel 2000), ma in cui da allora il dinamismo economico è stagnante. Dal 2000 hanno lottato per migliorare la loro posizione, spesso in termini sia relativi che assoluti.
Il rapporto infine evidenzia che durante la pandemia nell'Ue l'eccesso di mortalità, il numero di morti in più rispetto agli anni precedenti, è stato di 872mila decessi (tra marzo 2020 e luglio 2021). La mortalità in eccesso però è stata maggiore nelle regioni meno sviluppate, che in quelle di transizione o più sviluppate. Anche se la prima ondata del Covid aveva colpito principalmente le regioni nord-occidentali e meridionali, le seguenti ondate hanno portato a una più alta mortalità nelle regioni orientali. Il dato cumulativo in particolare evidenzia un tasso di mortalità in eccesso, del 17% più alto, per le regioni meno sviluppate, nota in particolare il rapporto. Nella prima ondata il tasso di mortalità in eccesso è stato più alto nelle regioni urbane e ha raggiunto l'80% in aprile 2020, mentre è stato inferiore al 40% nelle regioni intermedie e il 20% nelle regioni rurali. Durante la seconda ondata, invece, le regioni rurali hanno avuto il più alto tasso di eccesso, che ha raggiunto il 55%, mentre è risultato più in basso per cittadine e periferie (48%) e nelle città più grandi (43%).
© RIPRODUZIONE RISERVATA