Bruxelles – Rimpatri veloci dei migranti, una stretta collaborazione con i Paesi di origine e transito, ma soprattutto un meccanismo di solidarietà obbligatorio, che prevede un mix di misure da mettere in campo a seconda degli scenari e della consistenza dei flussi migratori, compresi i tanto controversi ricollocamenti dei profughi. Una spallata alla vecchia impostazione del regolamento di Dublino, di cui però viene mantenuta, seppur rimaneggiata, la responsabilità per i Paesi di primo ingresso. Sono alcune delle indiscrezioni che filtrano a pochi giorni dalla presentazione del nuovo Patto per la gestione delle migrazioni e dell’asilo targato Ursula von der Leyen.
L’appuntamento è fissato per il 23 settembre, potenzialmente una data da cerchiare in rosso sul calendario, perché dovrebbe segnare l’inizio della fine del regolamento di Dublino, la famigerata norma che in questi anni di esodi ha condannato Paesi come l’Italia, la Grecia e la Spagna a farsi carico, da soli, di migliaia di persone arrivate da ogni parte del mondo, a bussare alle porte della ricca Europa. Quella del superamento del sistema di Dublino è una promessa che la presidente della Commissione ha fatto davanti al Parlamento europeo, nelle repliche al suo discorso sullo stato dell’Unione, e che Giuseppe Conte, ha accolto con soddisfazione. ‘Fa piacere, l’Italia ha lavorato molto in questa direzione. L’attuale disciplina svantaggia i Paesi di primo approdo. Mercoledì attendiamo la proposta della Commissione. Da parte nostra – ha sottolineato – siamo gia’ predisposti a lavorare alla modifica dei decreti sicurezza’. Fiducioso si è detto anche il presidente dell’Eurocamera, David Sassoli, che ha parlato di ‘giusta direzione’.
Ma come sempre quando si parla di migrazione – il dossier più divisivo nella storia dell’Ue – la prudenza è d’obbligo. Fin dal loro insediamento, la commissaria svedese Ylva Johansson, ed il vicepresidente Ue greco, Margheritis Schinas, hanno ripreso in mano l’eredità lasciata dall’Esecutivo Juncker, e dalle varie presidenze di turno del Consiglio dell’Ue, che negli anni si sono cimentate col dossier, per mettere a punto un compromesso accettabile per tutti. A spingere il dossier è la Germania della cancelliera Angela Merkel e del presidente Frank Walter Steinmaier (a Milano per incontrare Sergio Mattarella), ma con grande probabilità la patata bollente passerà di mano, da
gennaio 2021, al Portogallo, prossima presidenza di turno. La tessitura della Commissione, con le cancellerie dei 27 ed i parlamentari dell’Eurocamera in questi mesi è stato incessante. Sette Paesi però, tra cui Polonia e Ungheria, prima della pausa estiva hanno scritto a Bruxelles, per ribadire una ferrea indisponibilità ad accogliere i rifugiati. Sul fronte opposto, gli Stati costieri dell’Europa meridionale sono tornati a chiedere con insistenza i ricollocamenti di quanti vengono soccorsi in mare, con Grecia, Cipro, Italia, e Malta, alle prese con una risalita consistente dei flussi verso le loro coste, aggravata dalla crisi del Covid-19. Uno schema di contrapposizioni su cui si erano incagliati i tentativi del team Juncker, e nel quale la Commissione von der Leyen spera di non arenarsi, partendo da un rafforzamento delle frontiere esterne, funzionale anche al ripristino dell’area Schengen, e ad un movimento più fluido nell’area del mercato unico.
Nel pacchetto che verrà proposto troveranno spazio anche procedure più snelle, per accelerare i rimpatri di quanti non hanno diritto a restare sul suolo dell’Unione. Si parla di una permanenza di pochi mesi. Una misura che necessariamente va di pari passo con la collaborazione con i Paesi di origine e di transito, sia in termini di lotta ai network che organizzano la migrazione clandestina, che di accordi di riammissione. Proprio per questo, nei prossimi giorni Johansson volerà in Mauritania. Ad imprimere il senso di urgenza, ed un’accelerazione rispetto ai tempi previsti per la presentazione della nuova riforma, è stata la tragedia umanitaria del rogo nel sovraffollato campo di Moria, una ‘vergogna per l’Europa’, come l’ha definita Johansson, che ora punta ad aprire sull’isola di Lesbo un nuovo centro di accoglienza, un progetto pilota, con un ruolo più incisivo delle agenzie dell’Ue, mentre l’ong Msf già invoca: ‘non diventi un nuovo campo di contenimento’.
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