Cronaca / Cantù - Mariano
Martedì 25 Dicembre 2018
La medaglia di Federica
Più veloce della malattia
Colpita da meningite il giorno del suo ventiduesimo compleanno, ha perso le gambe ma non la voglia di lottare
«Poter tornare a correre, fare le gare, ha risvegliato la combattività che mi appartiene. Mi ha fatto ricordare un aspetto del mio carattere che avevo messo a tacere. E siccome mi piace fare bene le cose, il resto poi è venuto da sé». Il resto sono le medaglie, le soddisfazioni, i record. Il record nel 2015 ai Mondiali di Doha, dove corre i 400 metri. È il suo primo appuntamento e con la maglia “azzurra” ottiene il quarto posto e il record italiano (1:07.41). «È stata la gara più bella che io abbia corso». La medaglia, d’oro, è arrivata al Golden Gala di Roma, lo scorso 31 maggio con un tempo di 14.62 nei 100 metri. La corsa, lo sport, una ragazza, tenacia e forza di volontà, le medaglie. Solita storia?
La malattia
Federica Maspero, segno Scorpione, classe 1978, comasca, oggi residente a Cantù, il giorno del suo ventiduesimo compleanno entra in coma dopo essere stata colpita da una meningite fulminante. È al quarto anno di medicina, di malattie, oramai, se ne intende. Quando si sveglia, e passano due mesi, si ritrova con entrambe le gambe amputate a partire dal ginocchio e con tutte le dita amputate, ad eccezione solo dei pollici. Non è proprio, quindi, la solita storia.
«Appena ho potuto ho ripreso subito a studiare - racconta Federica - Per la malattia ho perso un anno e mi sono laureata a giugno 2006». Nel 2007 va a Verona, da sola, per la specializzazione in Oncologia. Nel 2008, sempre nell’ambito della specializzazione, parte per uno stage in Pennsylvania, a Philadelphia dove rimane otto mesi.
Durante gli anni dell’università andava in palestra, in bicicletta, correva «ma - dice - ero una studentessa di medicina e niente altro. Facevo sport a livello amatoriale». Quando finisce la specialità, nel 2011, deve affrontare un grosso dispiacere a livello lavorativo. Come reagisce? Decide di cominciare a correre, per lasciarsi tutto dietro le spalle. Non dice niente a nessuno e si compra delle protesi in fibra di carbonio. Le protesi che usa per camminare e che indossa dal giugno 2003, non vanno bene per correre. Quindi si informa, contatta l’azienda e poi corre. «Solo dopo aver corso ho detto alla mia mamma “Oggi ho corso”. Era un percorso che, come tanti altri, dovevo fare da sola. La mia famiglia, i miei amici, li ho sempre avuti vicino ma quella era una cosa che dovevo fare da sola. Per carattere sono sempre stata autonoma e ho sempre sentito un forte bisogno di indipendenza».
Ali nuove per correre
Le nuove protesi sono ali per Federica e lei corre, corre veloce. Le dicono di fare le gare. «Di mio sono sempre stata ambiziosa e quindi le gare se le fai non puoi farle male. E poi per me la corsa era un momento di stacco, di svago, esistevo solo io. Sono tante le cose che hanno fatto sì che la corsa diventasse per me una grande passione».
Dire che correre con delle protesi è difficile è una banalità. Ma uno neppure si immagina le prove per aggiustare la falcata, per fare sì che il movimento, la spinta siano più simili possibili a quelli di una gamba. «Un lavoro minuzioso, immenso. Per fortuna avevo e ho avuto accanto a me oltre a dei tecnici, come Flavio Alberio con cui mi alleno a Rovellasca, dal 2015, anche mio marito, Matteo, che è ingegnere biomedico». Non è che basta avere delle lamine in carbonio per volare: «Devi imparare ad utilizzarle, devi diventare un tutt’uno con loro. E sei tu che fai la prestazione con loro, non sono loro che ti fanno fare la prestazione».
Abbiamo detto della gara in Qatar. Poi arriva la convocazione per le Paralimpiadi di Rio nel 2016. Lì, durante gli allenamenti, un ragazzo le va addosso e lei casca. Deve restare ferma, scordarsi le lamine e rimanere in carrozzina. Arriva il momento della gara. Federica arriva quarta nei 400 metri «un quarto posto che per me è stato come un primo». È la prima delle italiane e registra un tempo di 63.83. Sempre a Rio corre anche nei 100 metri e segna il record italiano con 14.37. «A Rio ho lasciato un pezzo di cuore. Avrei voluto prendermi una pausa ma siccome rispetto alle prime avevo di fatto perso solo dei decimi di secondo, ho deciso di non fermarmi e quindi ho continuato ad allenarmi».
L’argento mondiale
La tappa successiva sono i Mondiali di atletica leggera a Londra, siamo a luglio 2017. Nei 400 metri, la sua gara, Federica vince la medaglia d’argento: «Ho corso in 63 secondi netti, guadagnando quasi un secondo, a distanza di nove mesi neppure, da Rio e dopo che, sempre a causa di quella caduta, per un problema alla tibia, ero dovuta stare ferma tre mesi». L’ultima gara, lo scorso 31 maggio, ha corso i 100 metri al Golden Gala di Roma e si è portata a casa una bella medaglia d’oro. «È stata una soddisfazione, considerato che ho corso con gente molto più giovane di me e che non è la mia specialità».
Il lavoro
In mezzo a tutte queste gare e allenamenti, Federica lavora. Si è specializzata in medicina cinese e agopuntura e ha aperto un suo studio. Vi ricordate che le avevano amputato anche tutte le dita tranne i pollici? Con i pollici Federica cuce, taglia le verdure, si allaccia i bottoni e mette anche gli aghi per l’agopuntura. «Avevo mantenuto la sensibilità e nel tempo ho reimparato a fare tutto». Te lo racconta come se fosse normale, senza alcuna enfasi.
Fino a settembre basta gare. «Continuerò ad allenarmi, ma mi sono presa una pausa. Ci sono alcuni problemi con gli ausilii per le classificazioni e quindi in attesa di capire cosa succederà mi dedico un po’ al mio lavoro». E anche qui Federica ti illumina: «Se parliamo di prestazioni sportive siamo atleti come tutti e quindi devi guardare alla prestazione non a quello che rappresenta il tuo gesto. Sono due concetti che nel mondo disabile si tendono a confondere ma non possiamo dimenticare che parliamo di sport altrimenti la mia fatica è uguale a quella di chi si è messo solo in gioco e invece è giusto tenerle separate».
Una storia, questa di Federica, di coraggio, tenacia, passione, intelligenza e bellezza. Non proprio la solita storia.
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