È la quarta volta che a Lampedusa i "poveri asilanti" sfasciano e bruciano il centro di prima accoglienza (i danni chi li paga?). Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, in primis ai politici in cerca di futuri elettori e alle anime belle e caritatevoli che cosa succede a dare una mano a questa gente.
La riprova si è avuta anche in Francia e Inghilterra dov'è accaduto anche di peggio. Sarebbe interessante conoscere che cosa ne pensano tutti coloro che da anni scrivono a questa rubrica dando del razzista a quei pochi che timidamente osavano avanzare dei dubbi su questi arrivi. Anzi, se vogliamo dargli il nome più appropriato, chiamiamola pure invasione.
Stefano Rovagnati
Mariano Comense
I "poveri asilanti" di Lampedusa che si sono resi protagonisti dell'incendio e della devastazione del centro, non sono né poveri né asilanti. Sono semplicemente delinquenti, come li ha definiti il sindaco di Lampedusa, Bernardino De Rubeis, in quel toccante sfogo televisivo in cui ha usato parole e toni durissimi per attirare l'attenzione del governo sui problemi dell'isola.
Si trattava per la maggior parte di tunisini, cittadini di un Paese che non è in guerra, ma con il quale sono saltati gli accordi. E fra loro la tensione era cresciuta negli ultimi giorni proprio dopo la conferma della linea dura sui rimpatri.
Perché il punto è proprio questo: possiamo ributtarli tutti in mare? Possiamo respingerli e lasciarli affogare, anche quando sono donne e bambini che fuggono da paesi in guerra? E quanti sono gli invasori che sfruttiamo per il sommerso della nostra economia e delle nostre necessità sociali? Proviamo a interrogare la nostra coscienza e sforziamoci di darci risposte che non siano i soliti slogan. Dobbiamo distinguere: mano tesa a chi ha bisogno, pugno di ferro con i delinquenti. E mi pare che a Lampedusa qualche manganellata sia andata a segno. O no?
Pier Angelo Marengo
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