Sono una lavoratrice del settore privato, ho 53 anni e ho iniziato a lavorare a 15 anni. Nel lontano '73 il contratto, se così si può chiamare, stipulato con l'Inps diceva che dopo 35 anni di lavoro avrei avuto diritto al pensionamento; poi i 35 sono diventati 40 e poi 40+1. Ora a 53 anni, mi ritrovo con 38 anni e più di contributi, ad un passo dalla pensione, che però mi vedo rinviata di 10 anni o in alternativa, se decido di smettere di lavorare prima dell'età stabilita dalla nuova manovra, con un assegno penalizzato di non so quanto perché sono andata a lavorare troppo presto!
Per capirne di più ho consultato i vari schemini pubblicati dalle varie testate e addirittura sul sito dell'Inps e risulta che quelli nati nel '58 avrebbero dovuto iniziare a lavorare a 18 anni. Ora mi chiedo: e quelli che come me hanno iniziato a15? Dov'è l'equità proclamata dal ministro Fornero?
Cerco di capire la situazione e penso che sicuramente bisognava intervenire e fare qualche cosa, ma con più gradualità. Ancora una volta a pagare sono sempre i soliti: lavoratori, pensionati, casa e risparmi. Scusate lo sfogo, ma a qualcuno bisognava pur dirlo.
Angela Colombo
Como
Il concetto di equità è stato interpretato in modo molto personale dal governo dei tecnici. E non può chiamarsi equa una manovra che colpisce sempre gli stessi, sul presupposto che bisogna tutelare il futuro dei nostri figli e quello dei nostri nipoti. Come se i privilegiati si annidassero fra gli ultra cinquantenni che hanno avuto il torto di cominciare presto a lavorare.
Ma sulle pensioni l'intervento avrebbe potuto essere molto più leggero se soltanto fossimo capaci di far pagare le tasse a chi non le paga. Perché il presidente Monti ha ragione quando dice che chi evade mette le mani nelle nostre tasche. Adesso colpire gli evasori diventa una priorità assoluta e nessuno può più chiamarsi fuori, altrimenti non basterà tenerci al lavoro fino a 90 anni.
Pier Angelo Marengo
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