Assistiamo ad innumerevoli appelli televisivi che invitano i telespettatori a donare due euro pro terremotati.
Gli italiani sono teneri nell'animo, hanno il cuore in mano (ma solo quelli del ceto medio basso) e come al solito aderendo in tanti si raggiunge anche un considerevole importo; si spera solo che arrivino a destinazione e se ne faccia buon uso.
Non sarebbe stato più giusto ed equo rivolgere l'invito a versare ben altre somme a cominciare da chi le ha? Ad esempio avviare una sottoscrizione pubblicando una lista con i nomi di coloro che hanno un reddito più elevato, da lavoro, consulenze, incarichi, pensioni o altro? Chiudo ricordando l'iniziativa intrapresa dal sindaco di Comerio, Silvio Aimetti, e dalla sua Giunta che devolvono ai terremotati il 25% della loro retribuzione del mese di giugno ed hanno lanciato un appello a tutti gli amministratori pubblici a fare altrettanto.
Martino Pirone
La beneficenza si fa come la si vuol fare. Riservatamente oppure no. In una libertà senza violazioni.
A prescindere dalle distinzioni di ceto e rango sociale. Lo Stato provvede a prelevare dalle tasche di tutti i cittadini, sovvenzionando aiuti e ricostruzione. I cittadini fanno singolarmente quel che gli pare. Non si può imporre la beneficenza per legge. È vero invece che la beneficenza è una legge non scritta: ci portiamo dentro il senso dell'altruismo, dato che nessuno è qualcuno senza qualcun altro. Talvolta accade che il senso dell'altruismo chiami a manifestazioni di solidarietà economica, e ciascuno si comporta secondo coscienza. Questo a proposito delle scelte individuali. Circa quelle collettive, l'esempio di Comerio dovrebbe essere seguito nel resto d'Italia. Copiato a ogni livello pubblico. Fatto proprio da quanti svolgono ruoli privilegiati nella società.
Un esempio banale: i calciatori della nazionale. Se vinceranno gli Europei di calcio, devolvano il premio ai terremotati. Per loro sarà un piccolo sacrificio, per gli italiani sarà una grande testimonianza.
Max Lodi
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