Avevo nove anni quando gli altoparlanti dei supermercati - allora furoreggiava la Standa - diffondevano le note di "Obladì obladà" nella versione italiana dei Ribelli, con Gianni che faceva le pizze al Superbar e Lilly cantava al night del "Ragno blu", e Beatles, quelli veri, li ascoltavo invece alla "Hit parade", con Lelio Luttazzi che sapeva come pochi ingigantire l'attesa prima di nominare il primo in classifica.
A quei tempi c'era la coppetta gelato da venti lire, una macchinina Politoys ne costava mille e si mettevano da parte le monete per arrivare ad acquistare qualche 45 giri di Patty Pravo, Gianni Morandi o Riccardo Del Turco, i successi dell'estate al mare.
Più avanti, nell'adolescenza, non c'era stata storia, gli idoli erano i Beatles non i Rolling Stones, e il disco di "Yesterday" ha i solchi consumati ma è ancora parte della mia raccolta, con la sua busta originale. Allora invidiavo tremendamente mio cugino che era andato a Londra con la scuola e aveva potuto acquistare dei dischi originali dei Fab Four. Auguri, Paul!
Gianni Salinas
Cosa si può augurare a un uomo che ha venduto cento milioni di album e altrettanti dischi da solista e ha conquistato sessanta dischi d'oro? Paul McCartney in Inghilterra gode della stessa fama della regina Elisabetta II, per la quale si è esibito in occasione del Giubileo di diamante, è una specie di icona vivente del pop con un patrimonio pari al bilancio di una regione. Chi ama la musica gli deve comunque qualcosa, anche soltanto l'emozione di un ricordo o una melodia che l'ha accompagnato per un tratto di strada. Un gigante, anche come creatore di sogni.
Vittorio Colombo
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