Italia protagonista di un ottimo Europeo. Ma, come è scritto sulle nuove maglie della Juve, l'unica cosa che conta è vincere. E abbiamo perduto. Negli annali resterà un 4-0 umiliante. Tutto il resto è chiacchiera. Saluti delusi.
Gino Canali
Si può perdere con onore. Riprovare il gusto della sconfitta a testa alta. Ammettere la superiorità degli avversari senza irridere alla propria pochezza. Si può essere sportivi, dignitosi, sobri. Capire che questo è il calcio, e questa è la vita. Che siamo artefici del nostro destino, ma fino a un certo punto. Poi ci sono gli artefici di altri destini, e talvolta fino a punti inarrivabili da destini alternativi e concorrenti. Bisogna riconoscerne l'esistenza, rispettarli, se possibile imitarli la prossima volta.
Questo poco c'insegna la conclusione dell'avventura italiana agli Europei di calcio. Poco, perché dire che è molto significherebbe scadere nella retorica. Poco invece dà l'idea dell'essenziale. Perdendo come se avessimo vinto, ci siamo riaccostati all'essenziale: alla semplicità di quanto va fatto per conseguire un obiettivo. Produrre impegno, studio, costanza, sacrificio. Dare una cornice al quadro del talento. Un quadro che senza cornice non rimane appeso su alcun muro della cronaca. Della storia.
La nazionale partita tra il discredito generale, ritorna nel rispetto di tutti. Lo 0-4 della finale non suona come una figuraccia, un'umiliazione, un'indecorosità. Suona come una resa ai migliori, favorita da circostanze negative prodotte dal destino. Gl'infortuni per esempio. Ma anche se il destino non ci avesse messo del suo, noi non avremmo saputo metterci un granché in più del nostro. Prima della finale avevamo dato uno zic oltre al massimo, nella finale qualche zic meno del minimo.
L'evento ci è servito: ha riaccostato gl'italiani all'Italia, saldato le istituzioni ai cittadini, ridisegnato il profilo dello sport. Che non è qualcosa di collaterale al profilo del Paese. Ne è il ricalco. La copia. L'espressione fedele.
Max Lodi
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