Dopo la pesante sconfitta contro le furie rosse spagnole, è il momento dopo tanto smisurato entusiasmo e tante aspettative, di riconoscere la superiorità degli avversari; di dimostrare l'attaccamento alla nazionale e ringraziare per il sogno che ci ha regalato e che abbiamo cullato per qualche giorno.
Potrebbe comunque essere un punto di partenza questo: la squadra non è giovanissima ma in fondo la notizia più bella ce l'ha data Prandelli smentendo voci relative alle sue dimissioni. Con lui il progetto può continuare, ha dimostrato in questi due anni di aver operato al meglio sapendo selezionare quanto di buono il nostro calcio esprime. Essere vicecampioni d'Europa dietro alla Spagna è stato un risultato insperabile alla vigilia. Anche le sconfitte possono aiutare a crescere e per vincere le finali statisticamente bisogna giocarne diverse. Chissà, forse la prossima...
Romano Valsecchi
Forse non abbiamo mai beccato così nettamente e accettato il verdetto così positivamente.
E questo è un aspetto degli Europei di calcio che ci gratifica. In genere non sappiamo perdere, e neppure sappiamo vincere. O ci lamentiamo troppo per accidenti vari, o confondiamo il successo con l'onnipotenza.
Stavolta è andata in altro modo. Se si dimostra d'avere una cultura della sconfitta, ci sono buone probabilità che si riesca a maturare anche una cultura della vittoria.
Si tratta di quel senso della misura che ci servirebbe in molti settori della vita quotidiana, e di cui invariabilmente denunziamo l'assenza. Anche le parole di Prandelli dopo la finale di Kiev aiutano per il futuro: siamo un Paese vecchio, ha dichiarato, e bisogna ringiovanirsi. È quello che pensiamo tutti, ma che pochi osano dire. Un Paese vecchio perché diffidente nel dare fiducia ai giovani, arcigno custode d'infiniti privilegi, ingeneroso verso le generazioni future. Povero d'ottimismo, incapace d'usare una crisi per rinnovarsi, riottosamente conservatore. Chissà che non cambi almeno un po', grazie anche al pallone.
Max Lodi
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