Il Pd contesta l'intesa trovata da Pdl e Lega sul semipresidenzialismo. Però il semipresidenzialismo va nella direzione d'un chiarimento semplificativo della nostra organizzazione politica, sulla quale mi pare che tutti siano d'accordo. Perciò rimane la sensazione che continua ad accadere quello che è sempre accaduto: se una parte propone qualcosa, l'altra parte vi si oppone pregiudizialmente. Altro che parlare di unità d'intenti e di forze che si devono accordare per il bene del paese. Infine un interrogativo: ma Pdl e Lega non erano ai ferri corti?
Paolo di Benedetto
La Lega sta virando, con Maroni segretario, verso un neodemocristianesino di prudenza, occhiutaggine, pragmatismo. Maroni va sul pratico. Non affossa, come potrebbe, il presidente della Regione Formigoni. Non insiste, come gli sarebbe facile, nel tenere alto lo steccato con Casini.
Soprattutto non si nega il colloquio con Berlusconi, nonostante Berlusconi sia indicato sul piano nazionale come un nemico, avendo aderito al governo Monti. Il semipresidenzialismo non troverà mai attuazione in questa legislatura: tempi troppo stretti, dettagli troppo complicati da semplificare, iter troppo lungo da seguire. Eccetera. Però l'intesa raggiunta al Senato da Lega e Pdl è fortemente simbolica, e rivelatrice della riapertura d'un dialogo che potrebbe portare lontano. Cioè alla ricostruzione di un'alleanza alle prossime elezioni. Maroni sa che la Lega perderebbe duro, andando a sola.
Col Pdl perderà probabilmente lo stesso, ma in misura tale da contare di più nella successiva assemblea parlamentare. Una valutazione che, per parte sua, fa il Pdl medesimo. Dunque c'è la convenienza a rimettersi insieme. Anche a proposito della nuova legge elettorale: il sistema proporzionale piace a Maroni, e piace anche a Berlusconi. Ciascuno per sé alle urne, poi si vede.
Tenendosi le mani libere, se ne potranno stringere delle più diverse dopo il verdetto popolare. È il momento della realpolitik, senza sconti al sentimentalismo di bandiera.
Max Lodi
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