i meravigliosi ori olimpici della nostra squadra di tiro con l'arco, con Frangilli, Nespoli e Galiazzo che hanno sbaragliato gli Stati Uniti, e della "moschettiera" Di Francisca, seguita peraltro sul podio da Errigo e Vezzali per una storica tripletta, fanno riflettere su cosa sia realmente l'amore per sport e l'attaccamento ai colori nazionali.
Ogni quattro anni, infatti, persone di cui raramente si sente parlare - giusto della Vezzali, perché già vittoriosa, e poi compare nei media e in qualche pubblicità - riemergono dal limbo per vincere medaglie e poi ritornare nell'anonimato fino alla prossima Olimpiade.
Gente che nella vita fa magari un lavoro normale ma vive per la disciplina sportiva scelta da ragazzi e poi coltivata con formidabile passione, con il solo scopo di arrivare su un podio olimpico e dedicare all'Italia - cosa questa ancor più degna, visti i tempi - l'agognata medaglia.
Penso a Michele Frangilli, per esempio, che di successi ne ha già avuti parecchi, capace di cogliere il centro finale per l'oro con una incredibile freddezza e determinazione, senza fare i capricci come i divi del pallone che guadagnano in un giorno quanto lui in un anno e, chiamati magari a un rigore decisivo, lo tirano alle stelle.
Da questi volti puliti, dal loro spirito di sacrificio e dedizione allo sport, quello con la maiuscola, occorre ripartire perché l'Italia ritorni a essere un Paese serio e considerato nel mondo.
Riccardo Alfieri
Caro Alfieri,
le medaglie ottenute dagli arcieri e dalle ragazze del fioretto sono la punta dell'iceberg di un lavoro di anni, continuo e appassionato, di allenamenti e sacrifici, di tempo tolto al lavoro e alla famiglia. Per questo sono ancora più ammirevoli e mostrano che esiste un lato sano dello sport, fatto di atleti che si preparano accuratamente per giocarsela al meglio in nome di un simbolo, la medaglia olimpica. Forse - e metto nel gruppo anche noi giornalisti - dovremmo accorgerci di loro non solo ogni quattro anni.
Vittorio Colombo
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