Il capo dello Stato in una sua ultima "esternazione" ha perorato la revisione costituzionale della "forma di governo parlamentare della Costituzione" - concordato al Senato in Commissione - sollecitando a respingere il semipresidenzialismo pattuito tra Pdl e Lega, a favore della - a suo dire - meno "radicale" intesa tra Pdl, Udc e Pd.
Tale intesa, viceversa, contiene, a sua volta, elementi di "radicalità antiparlamentare", a cominciare dalla grancassa demagogica concernente la riduzione del numero dei deputati, da 630 a 508, come pseudo-risposta alla cosiddetta antipolitica, che con ben altro argomenti lamenta l'eccesso di spesa per la politico-parlamentare.
Perciò, a tacere il fatto che il Parlamento è insidiato dal potenziamento del presidente del governo e dalla limitazione dell'autonomia dei gruppi parlamentari a sfiduciare il governo in carica se non con preventivo accordo contro il governo in carica (sfiducia costruttiva), urge far sapere che la riduzione dei parlamentari punta a ben più gravi obiettivi di lesa democrazia, e quindi della politica.
Quindi, il vero obiettivo intrinseco alla riduzione del numero dei parlamentari, è coincidente con la riduzione della funzione legislativa della Camere: a cui il Governo può imporre come "priorità" all'ordine del giorno della Camera, il disegno di legge indicato dall'esecutivo, fino al punto di consentire al Governo di chiedere che il testo proposto sia approvato "senza emendamenti". È ammissibile una tale deriva di tipo autoritario, mentre si parla di "democrazia partecipativa" e si criticano le parole di Monti?
Angelo Ruggeri
Caro Ruggeri,
non parlerei di deriva autoritaria quanto di assenza di reale volontà di affrontare riforme strutturali.
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