Bersani è un generale sbeffeggiato dal suo competitore e il partito è un esercito senza strategia e neppure uno straccio di sensibilità tattica. Se fosse, Bersani, il presidente d'una bocciofila l'avrebbero già cacciato, invece resisterà a perpetuare il disastro di una sinistra da ricostruire. Gli consiglio di ritirarsi in un romitaggio e rileggersi la storia di Giuseppe Garibaldi, e la linea tattica da Calatafimi a Palermo. Gli consiglio i testi di Jessie White Mario, di Gustavo Sacerdote e le Noterelle di uno dei Mille di Cesare Abba. Sopirò la mia collera e pregherò per lui!
Ulderico Monti
Bersani una strategia ce l'ha (sembra avercela): tornare a votare a giugno. Perché quest'anticipo gli permetterebbe di ricandidarsi a premier, sventando il pericolo Renzi. Ma metà del Pd non la pensa come Bersani. Anzi, più della metà. Dalemiani, veltroniani, giovani turchi, naturalmente renziani. Sono le correnti che imputano al segretario d'andare troppo dietro a Grillo e di non essere autonomo nelle scelte per le presidenze di Camera e Senato. Bersani è disposto a cedere sulle due cariche per poi non cedere nulla sul Quirinale, però il gioco è rischioso. In concreto, rischia di non trovarsi nulla tra le mani. Il Pd, che rimane il partito con più deputati al Montecitorio e con più senatori a Palazzo Madama, sta gestendo malissimo ciò che non è stata una vittoria, e tuttavia neppure una sconfitta. Appare evidente come sia indispensabile una rapida rifondazione, ed è quanto avverrà nel caso di legislatura brevissima.
Ovvio che il nome del rifondatore risulterà diverso da quello di Bersani. I democrats, se non in un Garibaldi, confidano almeno in un garibaldino.
Max Lodi
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