Pino Donà
Mi verrebbe da dire questo, e cioè un'ovvietà: che le regole della Chiesa per i divorziati sono chiare; che si può discutere se queste regole siano da conservare, da modificare, da abolire; che tuttavia, fin che risultano vigenti, le si deve rispettare, e naturalmente le devono rispettare tutti visto che tutti sono uguali davanti alla legge di Dio (almeno alla legge di Dio). La conclusione è che quel prete ha sbagliato a concedere di comunicarsi al fedele Silvio Berlusconi, divorziato. E che il fedele Silvio Berlusconi, divorziato, ha sbagliato a richiederla, sapendo di non poterlo (doverlo) fare. Ma le cose non stanno secondo uno schema così semplice. Le cose stanno diversamente, e lo ha spiegato il vescovo monsignor Rino Fisichella, consultore della Congregazione per la dottrina della Chiesa, presidente della Pontificia accademia per la vita, uno dei più autorevoli teologi a livello internazionale.
Le cose stanno come segue: solo al fedele separato e risposato è vietato comunicarsi, sussistendo uno stato di permanenza del peccato. Ma se il fedele, come nel caso di Silvio Berlusconi, si è separato dalla secondo moglie, ha fatto ritorno a una situazione definita "ex ante". Cioè: se ci si risposa dopo il divorzio non si può accedere a questo sacramento, se ci si ridivorzia restando nell'attesa di futuri eventi sentimentali da regolare con contratto civile e religioso, sì. Tecnicamente una valutazione corretta, e di sicuro non discutibile dato che a esprimerla è una personalità così autorevole. Dunque il prete di Milano non ha sbagliato, e nemmeno lo ha fatto Silvio Berlusconi. Non v'era alcun legittimo impedimento a che egli si comunicasse. Anche se, a onor del vero, rimane il sospetto -chissà poi per quale motivo- che qualcuno, da qualche parte, in qualche tempo, in qualche modo un errore lo abbia commesso.
Max Lodi
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