La conflittualità permanente nel Pdl non si fa mancare nulla. Mi pareva che Tremonti, e con lui il presidente del Consiglio, avesse chiarito che non c’era spazio per strappi alla legge finanziaria. Ma sembra che le parole non abbiano nessun significato. Domenica il ministro Brunetta lo ha criticato apertamente, e nei giorni precedenti non era mancata la consueta puntualizzazione, ormai quotidiana, di Fini che mira a distinguersi da una parte del Pdl. Mi domando se si tratta di movimenti tattici per le elezioni regionali o se invece stia maturando qualcosa di pericoloso per il futuro del centrodestra.
Gino Canali
Brunetta è stato subito rintuzzato dal premier che ha sposato le ragioni di Tremonti. E non avrebbe potuto fare diversamente, dopo lo scontro delle scorse settimane con il superministro dell’Economia. Forse da parte dei suoi colleghi resiste la speranza, e magari il convincimento, che a furia di batter cassa, la cassa verrà aperta. E pioverà un poco, almeno un poco, di benedetta manna in vista delle regionali. Forse a Berlusconi non è sgradito più di tanto quest’atteggiamento, perché le elezioni bisogna vincerle nei fatti e non a parole, e un aiuto concreto al voto di scambio è benvenuto. Forse neppure Tremonti aborrisce in toto le critiche alla sua fermezza: in fondo gli conviene consolidare la fama d’inflessibile guardiano delle finanze pubbliche nel momento in cui figura tra i favoriti alla guida dell’Eurogruppo. Cioè del “pool” dei ministri economici del Continente, carica che ha tante maggiori chances d’essere conquistata quant’è minore il grado di flessibilità del candidato. E difatti finora Tremonti ha concesso a denti stretti qualche promessa (alla Prestigiacomo per l’ambiente, alla Gelmini per l’università, a Maroni per la sicurezza), ma senza allentare nessun rubinetto del finanziamento pubblico. Scelta comunque ragionevole in attesa di conoscere quanto frutterà lo scudo fiscale (si parla di circa quattro miliardi d’euro) e di sapere a quanto nell’insieme ammontano i desiderata dei titolari dei vari dicasteri. Che tutto ciò significhi qualcosa per il futuro del Pdl non so, che lo possa significare per il presente del Paese, niente affatto sfavorevole in molti suoi settori al rigorismo tremontiano, senz’altro sì. E’ proprio questa riflessione ad alzare la dose di malumore del premier, già irritato dalle uscite di Fini, il cui consenso popolare pare in crescita secondo l’ultimo sondaggio della Ispo di Mannheimer: 49% al presidente del Consiglio, 60 al presidente della Camera. Che sta incamerando più di quanto si pensava gli riuscisse.
Max Lodi
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