Cara provincia
Martedì 17 Marzo 2009
Cattocomunismo e intese utili al nostro Paese
Bisognerebbe fare attenzione a usare i riferimenti del passato per commentare il presente
Siamo proprio sicuri che l’appellativo di cattocomunista, con il quale il presidente del Consiglio ha spregiativamente liquidato il neo segretario del Partito democratico Franceschini sia qualcosa d’assolutamente negativo? Berlusconi ha preso lo spunto dal fatto che Franceschini ha proposto di tassare i più ricchi a favore dei più poveri, e della validità o meno di questo argomento si è già discusso: io non credo sia la cura adatta ai mali economici che ci angustiano. Tuttavia usare il termine cattocomunismo per contestare questa presa di posizione mi pare sia sbrigativo: viene infatti dimenticato il ruolo, non marginale e non negativo, che coloro che vennero accomunati sotto questa definizione svolsero nel Paese. Bisognerebbe fare attenzione a usare i riferimenti del passato per commentare il presente.
Pino Comolli
Anche il segretario del Pd ha risposto per le rime (storico-politiche) al premier, dandogli del clerico fascista. Francamente uno scambio di profilo non elevatissimo, cui l’uno poteva evitare di dare avvio in quel modo e il secondo di replicarvi in quell’altro. Sono chiacchiere che agl’italiani non interessano, gl’interessano i fatti. E contro il loro minaccioso avanzare, oggi ci vuole ben altro che uno stizzito comiziare. Nello specifico, il cattocomunismo ha assunto col trascorrere del tempo una valenza negativa, indicando la compromissione dei politici di segno cattolico con le idee di timbro marxista o similmarxista. E ci sta che si muova un appunto a quanti han rimestato per calcolo questa salsa, rendendola di sapore rancido. Ma non ci sta che lo si muova a chi, pienamente convinto, ha creduto che la collaborazione tra cattolici e comunisti in alcuni passaggi storici fosse non un sotterfugio, ma una necessità. È quanto avvenne ai tempi del terrorismo, sulla scorta dell’elaborazione che in materia avevano compiuto Berlinguer da una parte e Moro dall’altra, seguendo la traccia di parentele d’idee (perché ce n’erano e ce ne sono) tra la religione cristiana e la filosofia marxista. Non è un caso che durante la Resistenza i fedeli dei due schieramenti s’intendessero prima tra di loro che con gli affiliati ad altri, e non lo è neppure che - agli albori della contestazione del ’68 - i maggiori animatori del movimento studentesco risultassero di formazione cattolica. Naturalmente ricordare ciò non equivale a plaudire “tout court” al cattocomunismo, ma solo a restituirgli un minimo di contestualizzazione storica che forse può aiutare a non scadere nel massimo della banalizzazione contemporanea.
Max Lodi
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