Il presidente della Repubblica è stato criticato per il via libera al decreto salva liste. Rilievi gli sono stati mossi anche dai suoi predecessori. E il Pd lo difende perché non ne può fare a meno, ma si trova in difficoltà a spiegare perché quel decreto non è ammissibile e perché invece Napolitano lo abbia giudicato ammissibile. Tutto questo sta mettendo in crisi i fondamentali della Repubblica e la manifestazione di protesta prevista per sabato prossimo non farà altro che peggiorare la situazione. Intanto si annuncia un'altra manifestazione, questa organizzata dal Pdl, che accenderà nuovi fuochi: mi domando se il senso dello Stato ormai non ce l'abbia più nessuno.
Giovanni Vanetti
Il senso dello Stato è merce rara, quasi introvabile. Il senso dello Stato, lo abbiamo già scritto su questa pagina, avrebbe dovuto consigliare al centrodestra di scusarsi delle dabbenaggini commesse, al centrosinistra di dirsi disponibile ad attenuare i toni della polemica, ancora al centrodestra d'accogliere le decisioni dei diversi livelli della giustizia amministrativa senza processarla preventivamente o demonizzarla successivamente. Avrebbe anche dovuto suggerire di lasciare fuori della mischia il presidente della Repubblica, evitandogli appelli, pressioni e imbarazzi. Stabilito che le regole vanno rispettate, che quando le si vìola se ne accettano le conseguenze, che per il bene della democrazia si deve fare uso di saggezza prima che d'ogni altra (eventuale) virtù, parlarsi invece che azzuffarsi sarebbe risultata la miglior scelta nella peggior deriva. Avrebbe sopito le asprezze e messo i giudici nelle condizioni di serenità necessarie ad esprimere le valutazioni più congruenti. Naturalmente tutto questo non è accaduto. E probabilmente non accadrà. Ne è prova la determinazione cocciuta con cui s'intende mantenere, in entrambi gli schieramenti, l'obiettivo di scendere in piazza. Ma la piazza, per come si son messe le cose, serve ormai solo a complicare la situazione anziché a semplificarla. L'esito prevedibile è che alimenti il disgusto verso la politica, ormai montante tra fasce sempre più numerose di cittadini, e che favorisca un boom d'astensioni quando, tra una decina di giorni, si andrà alle urne. Nel Paese sta maturando la ribellione del silenzio, e basta circolare per le strade, salire sui bus, viaggiare a bordo dei treni, entrare nei caffè e nei negozi, chiacchierare negli uffici per rendersene conto. Sempre che non si appartenga alla classe politica. La quale necessiterebbe d'un decreto interpretativo per cogliere gli umori popolari.
Max Lodi
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