Cara provincia
Mercoledì 03 Giugno 2009
Il 2 giugno e la Repubblica ancora giovane
La gente non partecipa, forse perché ormai le feste son considerate tali e basta
La festa della Repubblica ci ha ricordato che vi sono alcuni valori fondamentali che non si possono scordare. Il primo di tutti è che uno Stato non deve essere fondato sul privilegio di chicchessia, e la Costituzione repubblicana da questo punto di vista è di assoluta garanzia. Poi viene tutto il resto, le libertà individuali e pubbliche, i diritti civili e politici, eccetera. La ricorrenza, assai più di tante altre, riassume tutto ciò e dovrebbe quindi vedere una partecipazione massiccia da parte dei cittadini. Invece questo non avviene. Gran parata di rappresentanti delle istituzioni, tenuti dal loro ruolo ad essere presenti, ma la popolazione aderisce in minima parte. Forse si tratta di distrazione dovuta a una bella giornata di sole, ma forse a un’indifferenza che con il meteo e il “ponte” non c’entra nulla. Si può dare una risposta a questo quesito?
Paolo di Benedetto
Forse si tratta di un po’ d’entrambe le cose. Ormai le feste son considerate tali e basta: feste. Indipendentemente da che cosa si festeggia. Non credo sia qualunquistico dire che a pochi importa di celebrare la Repubblica piuttosto che altre ricorrenze. E’ realistico. I giovani spesso ignorano le ragioni storiche d’una festività nazionale, gli adulti talvolta non gli sono da meno. Repubblica vuol dire cosa di tutti, casa comune, ricovero ideale d’una collettività. Non so quanto noi italiani ci sentiamo ospiti d’una casa di tutti e quanto una comunità. Onestamente mi pare che il sentimento d’appartenenza nazionale sia tiepido e che gli esercizi di riscaldamento per rafforzarlo siano di là da venire. Restiamo, salvo future e augurabili smentite, un popolo di tenaci individualisti, assai poco versato alla causa pubblica pur se in circostanze drammatiche sappiamo dar fondo alle singole generosità. In un certo senso si potrebbe dire che intimamente conserviamo una sorta di predilezione per la sovranità assoluta del nostro io. Dunque che siamo spiritualmente monarchici in ragione d’una indole costituzionale: cioè per come siamo fatti. Più precisamente: per come il succedersi delle epoche storiche ci ha fatto. Il lungo asservimento a stranieri di diversa provenienza ci ha resi diffidenti verso il potere e le sue architetture istituzionali, il processo d’unificazione ha subìto frequenti e tignosi processi di legittimità per considerarsi accettato oltre che compiuto, e infine la Repubblica è ancora troppo giovane perché la si possa ritenere già entrata nella maturità. Quando vi farà ingresso, usciremo dagli equivoci celebrativi e dalla diserzioni partecipative. Non prima.
Max Lodi
© RIPRODUZIONE RISERVATA