Prima ci si allea, e addirittura se non mi sbaglio si partecipa alla fondazione di un partito, e poi se questo partito prende un indirizzo che non aggrada, lo si lascia. L’ipotesi di tenere conto delle decisioni della maggioranza non viene presa in considerazione. Non si pensa di adeguarsi e di continuare all’interno del partito la battaglia a tutela delle proprie idee, come sembrerebbe logico. Dico tutto questo riferendomi alla decisione di Francesco Rutelli di andarsene dal Partito democratico dopo che è stato fatto segretario Pierluigi Bersani. Rutelli pare intenzionato a dar vita a una nuova formazione politica, ma a me sembra che non ci sia modo più vecchio di comportarsi di quello che ha scelto lui, peraltro non nuovo a cambiamenti di valutazione e di schieramento.
Paolo di Benedetto
Al contrario: direi fedele a cicliche mutazioni d’umore politico, d’orientamento ideologico e di collocazione partitica. Rutelli fu militante radicale, sposò la causa dei verdi, mostrò simpatie socialdemocratiche, non risparmiò critiche al Vaticano e successivamente elogi, issò la bandiera del laicismo e poi l’ammainò per sostituirla con quella del cattolicesimo. Fondando la Margherita, partecipando all’avventura dell’Ulivo, aderendo alla fondazione del Partito democratico aveva seguito un percorso che ne faceva ipotizzare la prosecuzione senza scarti. Invece lo scarto arriva, e non si capisce perché adesso e non prima. Cioè prima che la gara per la segreteria del Pd si concludesse o addirittura si svolgesse: avrebbe avuto più senso andarsene senza conoscere il vincitore piuttosto che dopo averlo conosciuto. La scelta lascia infatti intendere che la decisione era presa da tempo e ha per obiettivo l’ingresso nel grande centro cui sta lavorando Casini. Rutelli pensa di trovare lì più spazio di quello che gli sarebbe stato lasciato dove ha alloggiato sinora: probabilmente ha ragione. Ha invece torto Prodi quando commenta: se qualcuno se ne va, non succede niente. Succederà invece che Rutelli, per quanto negativa sia l’idea che della sua consistenza politica ci si è fatta a sinistra, sarà comunque causa d’un valore aggiunto per l’Udc e il suo intorno. E il Partito democratico di Bersani ha tutta la convenienza ad avere accanto a sé, nel fronte dell’opposizione, un centro che sia più forte di quel che è stato finora. Berlusconi infatti lo si batte - ammesso che lo si possa battere - anche rinforzando gli alleati oltre che se stessi: quanto siano deleterie le egemonie nelle coalizioni di sinistra, lo dimostra la consegna del Paese nel 2001 e nel 2008 a quelle di destra.
Max Lodi
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