Aveva un alto senso della politica, che non considerava come assorbente di qualsiasi altra attività, ma come terreno su cui verificare convinzioni profonde, sentimenti e anche speranze. Molti lo ritenevano una persona introversa, indecisa, invece era solo alieno dalla superficialità.
Di se stesso diceva: «A chi pretende di piegarmi ad una sorta di caricatura amletica dico chiaramente che solo i saltimbanchi possono credere che la riflessività sia indecisione».
Parole che andrebbero meditate da chi professa oggi il decisionismo, ma non fa altro che sfornare proposte incongrue e contraddittorie, in un momento che esigerebbe chiarezza di pensiero e azioni coerenti e non ballerine.
Abbiamo discusso a lungo, nel gruppo DC, con lui, l'atteggiamento da tenere durante la prigionia di Moro nelle segrete delle Brigate Rosse.
La politica della fermezza non era da lui ritenuta un dogma, ma una scelta contingente di fronte alla debolezza degli organi dello Stato, incapaci di liberare Moro con i mezzi dell'"intelligence" e dell'efficienza.
Sul piano generale concordava, e molti di noi con lui, che la società e la persona vengono prima dello Stato; citava dalle lezioni di filosofia del diritto di Moro il concetto di "farsi umano" dello Stato. Per cui ritenne la morte di Moro una sconfitta del senso umano della politica, tanto più grave perché subita e non contrastata dai cattolici che credono "che lo Stato democratico non è lo Stato che avvilisce, è lo Stato che arricchisce la qualità umana della società".
Mino Martinazzoli, politico rigoroso, quando assunse l'incarico di segretario politico della DC, nella tempesta di Tangentopoli, senza essere insensibile alla necessità di separare la responsabilità dei singoli dalla missione del partito, ritenne doveroso dare un taglio netto con una mentalità corrotta cresciuta nell'organizzazione e nelle istituzioni dopo la morte di Moro, e volle una forza politica nuova, il Partito Popolare, che conservasse le idee forza della DC, ma seppellisse il doroteismo, il clientelismo, il metodo del facile compromesso e tentasse un riscatto di onestà e di purezza ideale. Nel '94 fu sconfitto alle politiche e lascio la scena nazionale con un atteggiamento ruvido e deciso. Si impegnò come sindaco di Brescia a testimoniare, in una città provata dalla violenza, la strada della giustizia sociale.
Luciano Forni
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