Quando sento intonare l'inno di Mameli mi si inumidiscono gli occhi, a volte sorrido orgoglioso, a volte guardo intensamente negli occhi chi mi sta attorno, che sia nero, rumeno, albanese, marocchino, pensionato, dirigente o barista. Lo guardo e, dentro di me, gli mando un messaggio: «Ascolta in silenzioso rispetto; questo é un momento magico». Capita alla ricorrenza della Nikolajewka, alle olimpiadi, ai campionati del mondo o quando Draghi va alla presidenza della Bce.
Capita quando vincono la Ferrari, Antibo (il cavallino arabo -siciliano), la Pellegrini (veneta), i fratelloni Abbagnale (napoletani), Mennea (pugliese), Cova (lombardo), Mei (toscano), Tomba (emiliano o romagnolo che sia), Berruti (piemontese), Valentino Rossi (marchigiano), Max Biaggi (romano). Capita quando un italiano fa innalzare il Tricolore e suonare l'inno di Mameli.
Mi inorgoglisco quando sento che Bill Gates ha acquisito, a un'asta miliardaria, disegni di Leonardo e, pure, quando in via Condotti i giapponesi si soffermano davanti al negozio di una nota casa di lusso e strillano «Guc-ci, Guc-ci» o, a Milano, in galleria, i cinesi ruotano col tallone sulle palle del toro perché qualcuno ha detto loro che porta bene.
Ho votato, spesso, per la Lega perché pensavo professasse principi onesti e giusti: purtroppo, erano solo parole al vento; per noi cittadini ha ottenuto niente. Rassegno, con sommo rammarico, e con effetto immediato, le mie dimissioni irrevocabili da cittadino italiano. Non ci tengo ad essere statunitense, svedese, australiano o marziano. Se non più italiano, vorrei essere apolide. Potete suggerirmi la trafila da seguire?
Oscar Breviario
Dimettersi da italiano è un po' come sbattezzarsi, levarsi di dosso panni aderenti come una seconda pelle, rinunciare a lottare. Perché vivere oggi in questo Paese, messo a sacco da anni di malgoverno, significa combattere ogni giorno per mantenere o restaurare valori lasciati appassire, quei valori per i quali migliaia di giovani sono morti, prima con Garibaldi, quindi nella Grande Guerra, ideali per i quali proprio Goffredo Mameli, autore del nostro inno così bistrattato ma così vero, diede la vita a ventuno anni. Mollare, sarebbe una soluzione di comodo che darebbe ragione, una volta di più, a chi del concetto di Patria si riempie la bocca soltanto per gonfiarsi il portafogli. Resista.
Mario Chiodetti
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