Cara Provincia,
apprezzo le risposte date parlando chiaro ai lettori, come l'ultima indirizzata al signor Luca Cattaneo. La franchezza, anche se a volte scontenta chi vuol sempre avere ragione, come la lealtà non permette sotterfugi. Oggi, c'è sempre più gente che conosce le Maldive senza avere visto il nostro Pantheon o sapere dov'è Paestum. Roma ha insegnato al mondo più di qualsiasi altra città-civiltà ma per noi provinciali è più importante citare, non dico Atene, Parigi, Londra, Madrid, Lisbona, capitali simbolo di nazioni storicamente importanti, che hanno contribuito allo sviluppo culturale del mondo, ma fatti e situazioni che sarebbe più opportuno non evidenziare e frequentare, democrazie come Cuba e altre analoghe situazioni.
Giovanni Bartolozzi
Non è vero, caro amico, che siamo troppo provinciali. Lo siamo troppo poco. Quasi ci vergogniamo di citare i nostri luoghi, i protagonisti della nostra storia e della nostra cultura, le nostre tradizioni. Ci pare forse una “diminutio”, un modesto rapportarci alle cose del mondo, un dichiarare la palese inferiorità della periferia di fronte all'evidente superiorità del centro. Del centro in ogni sua accezione: dei maggiori centri urbani, delle località di ricorrente visita che stanno al centro degl'interessi turistici. Naturalmente del centro inteso come luogo di potere lontano e forte. Eccetera. Forse dovremmo spogliarci di quello ch'è un antico pudore e avere del nostro passato, oltre che del nostro presente, una considerazione meno severa. Ne additiamo accigliati (e facciamo bene) i difetti, ma ogni tanto dovremmo sforzarci di segnalarne (e faremmo altrettanto bene) i pregi. Il succedersi dei secoli ci ha abituato a privilegiare il dettato dello straniero, qualunque fosse il dettato e chiunque fosse lo straniero. C'invadeva, ci dominava, ci governava. E imparammo a esserne proni, sia pure con l'intervallo d'impeti di orgoglio. Quell'atavico inchinarsi ci è rimasto, credo di non esagerare, nel codice genetico. E ne paghiamo le conseguenze. Essendo ormai consci di tutto questo, forse varrebbe la pena d'invertire la tendenza, trovando il coraggio d'esportare valori che non tocca solo alla politica riesumare, impadronendosene per i suoi scopi. Dovremmo insomma riscrivere la nostra ideale carta d'identità ed esibirla senza il timore di leggere negli occhi dell'interlocutore un moto di sufficienza. Se non di disprezzo. Il problema non è far chiacchiere (Fidelizzate o meno) su Cuba, ma far “cubare” le nostre radici con la realtà globale.
Max Lodi
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