Finalmente i nostri problemi cominciano a risolversi. Era ora che l'alta politica partorisse una geniale soluzione a tutte le inefficienze italiane, semplice oltretutto: basta portare due ministeri a Milano, lontano da "Roma ladrona". Si realizzerà un evidente aumento della produttività, un'evidente gratificazione dell'orgoglio padano, e soprattutto un evidente risparmio dei costi. Dite che non è vero? Ma l'impulso all'economia è garantito: infatti ogni sede pubblica richiede adeguata dignità, quindi posti di lavoro nell'edilizia per creare tanti nuovi palazzi governativi. A meno che, sull'esempio romano, non si preferisca prenderli in affitto a prezzi esorbitanti, beneficando imprenditori senz'altro meritevoli agli occhi di chi decide. E si vuol negare la possibilità di distribuire nuovi posti di lavoro sui luoghi raggiunti da questa nuova manna? Dato che una parte dei dipendenti romani si accomoderebbe in qualche altro ufficio della Capitale, le strutture milanesi per funzionare dovranno operare indispensabili assunzioni. Il tutto, ne siamo sicuri, senza aggravi per i contribuenti. A chiacchiere: esattamente come è avvenuto con la proliferazione di tante nuove province, che si vede bene quanto abbiano migliorato l'efficienza amministrativa. Da decenni i governi promettono solennemente di abolirle, ovviamente guardandosi bene dal farlo per non provocare la rivolta di tanti professionisti della politica.
Andrea Luppi
Lei sa, caro amico, come il ministro della Cultura (della Cultura) Galan abbia con classe definito l'ipotizzato trasferimento d'uffici ministeriali a Milano: una puttanata (absit iniuria, ma ha usato proprio questa parola). Il problema è che la sconfitta alle amministrative pesa, la maggioranza di centrodestra non sa come rimediarvi, il governo ha il fiato corto (lo dimostra la doppia caduta di ieri l'altro al Senato), Berlusconi tira la giacca a Tremonti per fargli allentare la morsa fiscale e Tremonti sguscia via per non farsela tirare. Bossi deve destreggiarsi in tutto ciò, sta prendendo tempo, non ha ancora deciso quale sia la strategia migliore per uscirne. Perché è fuor di dubbio che Bossi ne uscirà. Ne deve uscire, pena un'ulteriore perdita di consenso che farà seguito a quella recente delle elezioni. Bossi è atteso tra dieci giorni a dir qualcosa di realistico a Pontida, al suo popolo. Non può non dirlo. Però ignora che cosa dire. Nell'intimo è probabilmente convinto che un eventuale trasloco di ministeri non risolverà nulla. E forse inizia a convincersi che un trasloco di alleanze servirebbe di più allo scopo.
Max Lodi
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