Sono rimasto colpito dalla morte in Sudafrica di Pietro Ferrero, amministratore delegato della famosa azienda dolciaria piemontese. Ferrero aveva la grande passione del ciclismo e portava con sé la bicicletta in ogni trasferta di lavoro, come era quella che stava effettuando. Nei ritagli di tempo, si dedicava a intense pedalate. Faceva quello che molti altri, anche se assai impegnati nel lavoro, fanno: cercano nello sport un'evasione mentale oltre che un beneficio fisico. Forse a volte questa voglia di estraniarsi per qualche ora dalle incombenze quotidiane rischia di essere troppo pericolosa. Quando si carica di eccessivo impegno la passione perlo sport, può accadere l'irreparabile. Non sarebbe il caso di invitare a una pratica più prudente di attività ricreative che spesso non lo sono per la serietà agonistica con cui vengono affrontate?
Paolo di Benedetto
Pietro Ferrero era senz'altro ben allenato. Ben controllato sul piano sanitario. Ben avvezzo a integrare lavoro e sport. Dico integrare perché quando si vuol così bene a un'attività sportiva, non se ne può fare a meno. E la si accompagna, la si deve necessariamente accompagnare, alle altre attività di ogni giorno. Se non lo si facesse, se ne avrebbero dei danni. Fisici e mentali. Eccessivi rischi? Chi pratica lo sport amatoriale a questi livelli (Ferrero partecipava a gare impegnative, comprese le gran fondo) si sottopone a test ciclici che la gran parte degli altri cittadini evita d'eseguire. E' monitorato con frequenza e puntigliosità. E dunque, almeno sulla carta, rischia meno di chi non fa nulla d'atletico o ne fa poco. Basti pensare al numero dei sedentari che incorrono nell'infarto e a quelli che ne rimangono vittime dedicandosi a uno sport. Secondo la letteratura scientifica, non esercitando alcuna attività di questo tipo la probabilità di rimanere colpiti da malattie cardiocircolatorie si alza notevolmente. Poi è chiaro che la misura dell'impegno è decisiva. L'esagerazione rappresenta un pericolo, l'estremismo un pericolo mortale. Su questo, razionalmente siamo tuttti d'accordo. Emozionalmente, assai meno. Succede infatti che la voglia di misurarsi con se stessi prevalga talvolta sulla prudenza, e si vada oltre la soglia che non bisognerebbe superare. Ma alle sfide contro il realismo non ci sarà mai fine. Fanno parte dell'incontrollabile impulso al sogno che ci è stato regalato dalla natura. E il sogno va preso per quello che è: dolcemente consolatorio, bizzosamente illusorio. Talvolta dal sogno non ci si sveglia più. Si continua -vogliamo credere dolcemente- a sognare per sempre.
Max Lodi
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