Avevo altresì la certezza che modelli autoritari non dovessero nemmeno avere l'ardire di affacciarsi alla ribalta politica e questo mi ha impedito di dare il voto ad una destra rimasta per lungo tempo nella nostalgia di un passato da (non) dimenticare.
Ho guardato questo nostro Paese con l'occhio di chi ne vede i difetti macroscopici rendendomi conto che se non si provvede a profonde riforme che obblighino ad un cambiamento delle modalità di governo della cosa pubblica non ne usciremo mai più. Per questo l'idea di un federalismo, o meglio di un nuovo modo di governare le risorse, visto che nasce al contrario rispetto a tutti i Paesi federati che conosciamo, mi aveva spinto a votare per la Lega. Sicuro di dover stare molto attento a due aspetti: quello dell'involuzione nel magma politico corrente e quello dell'eccesso. Ho continuato a farlo, e probabilmente lo farò ancora, visto che solo da quella parte c'è una spinta al cambiamento forte, mentre altrove c'è una resistenza a mantenere le cose come stanno. Ho accettato anche che ci si aggregasse all'unica forza politica o all'unico blocco sociale capace di condividere questi obbiettivi pur non essendone troppo convinto. Ora non posso accettare che un uomo, solo per inseguire lo stile di vita che gli è più congeniale, mandi tutto a gambe all'aria e dia il pretesto ai veri conservatori di porre un freno al processo in corso.
Mi sono riletto in questi giorni il saggio di Miglio «Come cambiare». Nel '92 diceva cose di una sconvolgente attualità (e non era in odore di essere un politico). Possibile che nessuno riesca a raccogliere quel testimone? Forse mi sono sbagliato nelle premesse e quindi dovrò rivedere le mie certezze, ma di morire “democristiano” non avrei tanta voglia.
Alberto Molteni
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