Penso spiaccia a tutti non avercela fatta: ad inserire nella Costituzione (a modifica/completamento dell'art. 12), per il 17 marzo: «L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali»; tale aggiunta, infatti, approvata dalla Camera, giace ancora al Senato. Consoliamoci con la legge 15 dic. 1999, n. 482 (norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche), che, all'art. 1, recita: «La lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano».
Gianfranco Mortoni
Abbiamo fatto in qualche modo l'Italia, non abbiamo ancora fatto (completamente fatto) gl'italiani, figuriamoci se ci poniamo il problema della lingua italiana. Adesso poi che le lingue, italiano compreso, subiscono ogni sorta di maltrattamenti, violazioni e soprusi che s'insiste a iscrivere alla voce innovazioni, il problema dell'identità d'una lingua passa in terz'ordine. Ed è un errore grave perché, come diceva il premio Nobel messicano Octavio Paz, la prima deriva d'un Paese s'inizia quando alla deriva ci va la sua limgua. Quando la grammatica viene corrotta, la sintassi non ne parliamo, e il modo d'esprimersi segue a ruota, perfettamente adeguandosi al fenomeno di decadimento. Lasciare che una lingua subisca quest'oltraggio ha come risultato l'avvio della perdita d'identità d'un popolo, è l'avvio della trascuratezza verso le proprie tradizioni, è l'idea che bisogna guardare avanti senza più voltarsi indietro. Si considera la lingua come un elemento del passato, così vecchio e noioso da apparire obsoleto. E volentieri si permette che venga infiltrata da parole, locuzioni, modi dire d'altra e più diversa origine. Addirittura ci si vergogna d'adoperare una certa terminologia italiana, quasi che fosse insopportabilmente retrò, stantia, retorica, leziosa, eccetera. Tra le bellezze che l'Italia dovrebbe riscoprire figura ai primi posti (forse al primo posto) la lingua italiana. Ma, ahinoi, a riluttare a tale riscoperta sono alcuni insegnanti, alcuni professionisti, alcuni politici, perfino alcuni uomini di cultura che la giudicano uno strumento di lavoro (un mezzo di comunicazione del pensiero) e nulla di più. Non un bene da preservare e trasmettere, uno scrigno prezioso appartenenente al tesoro storico del Paese, una ricchezza umana alla quale attingere per moltiplicarla. Macché. L'italiano, pur cominciando per “i”, non gode della stessa dignità di altre “i” come internet, inglese, impresa. E continuerà a non goderla, Non è l'ufficialità istituzionale a promuovere una lingua, è il suo distorto uso a bocciarla.
Max Lodi
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